Un funky astratto e concettuale che vuole rappresentare le contraddizioni del capitalismo.
Non è affatto un disco facile, né intende esserlo, questo “Bureaucratic Headache” dei The Beautiful Bunker. Configurato come una sorta di viaggio dantesco nell’Inferno delle nostre esistenze nella fase spettacolarizzata e consumistica del capitalismo, che facendo leva sui nostri bisogni fondamentali ci trasforma in consumatori standardizzati e compulsivi, l’album propone un itinerario di consapevolezza che porti all’affrancamento da una simile schiavitù e a un superiore stato di coscienza.
Temi impegnativi che si riflettono nelle strutture e nel sound scelti. È come se gli strumenti si contraddicessero volutamente: il basso crea potenti groove, la chitarra si muove in uno spettro espressivo che va dai riff funky a volute dissonanze, le tastiere ricordano a tratti i momenti più ostici degli Area, la batteria si diverte ora ad assecondare questa strana ballabilità ora a contrastarla proponendo ritmi dispari, dal sapore irregolare e robotico al tempo stesso, con cambi di tempo improvvisi, brevi e stranianti. Su tutto, campionamenti invasivi (programmaticamente, come in “Packratting”) e melodie a volte atonali.
Con una pletora di ascendenze che spaziano dai Primus, ai King Crimson anni '80, dagli Shellac al dub (e chi più ne ha più ne metta), The Beautiful Bunker si segnala come una band estremamente tecnica e concettuale, che promette un impatto live potente, ma ha il limite stesso dei propri pregi. E cioè un’istintività programmaticamente frenata, che impedisce alle canzoni di possedere quell’hook che le renda memorabili, come accade ad esempio nella title track. Ma credo che ai Beautiful Bunker non gliene freghi una beata cippa. E va bene così.
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La recensione Bureaucratic Headache di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-02-20 00:00:00
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