Quel che resta della notte. Così potremo rintitolare questo mini ep dei piemontesi Duemanosinistra, band dalle articolazioni interessanti e non soltanto per la composizione del nome. La scelta di una copertina quasi completamente bianca, riesce sempre a suscitare un’ambigua curiosità nonché aspettativa sperimentale; al centro della copertina compare una mano sinistra che “passeggia”di profilo e in qualche modo mi ha riportato alla mente “ágætis byrjun” dei Sigur Ros, l’album dove primeggiava su sfondo scuro il famoso feto. A parte il concetto di freddo che ben emerge dallo stile e dai testi della band (quello della temperatura, quello dell’anima, quello della copertina-neve del disco) la vicinanza col gruppo islandese si ferma qui.
Lasciamo per una volta fuori i soliti citazionismi ai riferimenti italiani Marlene/Afterhours, che bene o male loro e moltissimi altri emergenti italiani si portano dietro (e avanti) come parte del patrimonio genetico. La somiglianza vocale con Godano, c’è e si sente, forse più nello strascico delle strofe che per naturale tonalità; ma ciò non impedisce di offrirci un materiale carico di enfasi personale e buona fattura. “Manicalarga”, è il primo esempio del loro particolare modo di giocare col linguaggio musicale, scomponendo alla luce del giorno sintassi e modelli e ricostruendo nel crepuscolo un cantautorato denso di immagini sensuali.
Il dondolio di chitarre acustiche e armoniche fa da sottofondo a testi carichi di poesia visionaria e velata di zucchero: “Manicalarga” pare quasi il nome di un personaggio fantastico che vive tra “paradisi e bianche stanze della mente” i cui “occhi di pianto ridanno memoria alla nostra storia descritta sull’acqua”. Rock e pop ballano tra alternative italiano e incursioni latine di tango sottovoce, che abbassa le luci a suon di armoniche decadenti. Colpiscono così, nel buio e nei sussurri i Duemanosinistra, in una maldestre storia musicale dove i corpi si confondono, le strade e le città sembrano in bianco e nero e tutto si esaurisce in quel “nodo alla vita che stringe e che toglie ” così ben evocato alla Jeff Buckley in “Avenida”, ed è inevitabile subirne quasi una suggestione fisica. Destrutturate le pause, il tutto si fa uno nei titoli delle canzoni tra loro legate e le parole si trascinano come profumi densi per vie sentimentali costruite nell’ombra e mai risolte: alla ninna nanna melodica di Avenida il compito di salutare la notte e di condurci svegli all’alba. Quello che resta sono tracce di metamorfosi nella normalità di un buongiorno e di una stretta di mano.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-10-04 00:00:00
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