Già confessato in precedenza, e persino più volte, la personale passione per la patchanka è andata via via scemando negli anni. Non che non abbia apprezzato, ad esempio, progetti come i Figli di Madre Ignota (anzi, le recensioni su questo sito ne sono la testimonianza) o, per parlare dall'estero, le scorribande dei Gogol Bordello. Anzi, spesso continuo a ripescare i dischi dei Mano Negra, e ogni volta il rimpianto di non averli visti dal vivo aumenta.
Tutto questo sproloquio per raccontarvi della Baro Drom Orkestrar, ovvero di 4 musicisti che "mischiano klezmer, musica armena, pizzica salentina e balkan" e che hanno ribattezzato il loro miscuglio "Power Gipsy Dance". Insomma, la patchanka contaminata con le sonorità tipiche della musica gitana, quasi a rimandare alle colonne sonore dei film di Kusturica degli anni '90 al netto di ottoni (violino, fisarmonica, contrabbasso e batteria modificata sono gli unici strumenti in catalogo).
Nel complesso li preferisco quando spingono sull'acceleratore ("Pazzumpa", "Sirba izvoara", "Baro", "Fanfara ciociara"), meno quando rallentano il ritmo ("Lento"). La ricetta comunque funziona, nonostante il pensiero torni spessissimo ai Gogol Bordello di cui sopra - con l'idea ricorrente che se mai la Barodrom Orkestar riuscisse a trovare il suo Eugene Hütz, forse potrebbe davvero giocarsela. Perché la scelta di optare per brani esclusivamente strumentali alla lunga potrebbe stancare - e l'unico episodio ("Kali nifta") in cui è presente la voce non brilla affatto rispetto al resto.
Per adesso va bene così, ma in futuro sarà necessario inventarsi qualcosa se la formula dovesse rimanere invariata.
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