Stefano sa rielaborare 40 e passa anni di rock in un linguaggio coerente
Stefano è esattamente come si presenta: un onemanband, voce e chitarra, folk rock d'oltreoceano e poche percussioni a dare il giusto groove, bluesy quando serve. Al netto di una copertina e di un nome poco appetibili e alquanto anonimi, i tre brani au contraire sono tre piccole scoperte.
Si inizia col folk di “Wait for you later”, in cui già si percepisce che la grande forza di Stefano sta nell'interpretazione, con la sua attitudine à la Johnny Cash, anche nella chitarra; “Learned to lose” ne svela già un secondo volto interpretativo, quello di cantautore intimo, con la voce dolente, un Mick Jagger crooner per una notte, e la chitarra acustica minimale, morbidissima. Un climax ascendente e poi discendente particolarmente emozionante. Chiude “Sand in my hand”, un brano più pop, ma anche il più strano: sembra una di quelle epiche ballate da classifica degli anni '80, di quei supercantanti tipo Jim Diamond, ma riarrangiato da Nick Cave.
Tutto questo potrà sembrarvi un calderone senza senso e assolutamente mescolato a casaccio, eppure vi assicuro che a rileggerlo non avrei saputo trovare parole migliori per descrivervelo. Perché poi tutto questo tra le mani di Stefano trova una sua inspiegabile coerenza interna che riunisce questi tre brani al suo unico e solo creatore e interprete, Stefano.
Stefano sa rielaborare 40 e passa anni di rock continentale e non con un linguaggio coerente. Sicuramente la sua proposta presenta dei problemi, tipo l'incerta contemporaneità del progetto e l'assenza di un marchio forte che possa distinguerlo da altre produzioni simili. Ma considerando che si è affidato a buone mani (la produttrice Lynn Verlayne) e che questo è solo l'inizio, non si può che augurargli il meglio.
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La recensione Stefano EP di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-04 00:00:00
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