Una deriva esistenziale che si dipana dentro il buio più denso della volta celeste, tra cold-wave siderale e spettrale shoegaze.
Dietro il moniker The Last Hour si nasconde il side project di Roberto Del Vecchio (già membro dei Les Jumeaux Discordants) che, a proposito del suo “Deadline”, racconta candidamente: “In questo disco comunico con l’universo, con il silenzio di Dio, alla ricerca del senso del nostro respirare. “Deadline” è la porta verso l’infinito, verso inimmaginabili mondi, lo spazio cosmico, il nulla”. Né più né meno che il foraggio concettuale che ha nutrito un’intera generazione di musicisti, soprattutto i proseliti di quella Kosmische Musik che nobilitò musicalmente la Germania dei primi ’70.
Del Vecchio, però - supportato a questo giro da Carlo Baldini - contamina, come da sua abitudine, questo inestimabile patrimonio di visioni universali (che solo nelle strumentali “Alpha & Omega” e “Deep blue space” viene preservato nelle sue originarie connotazioni krautiane) con massicce dosi di oscurità e magmatico intimismo, miscelando con stile cold-wave siderale e certo shoegaze di spettrale lentezza.
Ne vien fuori una sorta di sintetica volta celeste, dai bio-ritmi rallentati, dove la voce abissale di Del Vecchio fluttua lentamente nel buio più denso, sospinta da alienanti venti elettronici che trovano la loro sorgente di flusso in gente come Diary Of Dreams, Frozen Autumn, Clan Of Xymox, ma anche nei New Order più torvi (“Deadline”) e persino negli In My Rosary per le rifiniture più malinconicamente acustiche (“Utopia”).
La bella cover depechemodizzata di “Winning” dei mai abbastanza celebrati The Sound, infine, conferisce valore aggiunto a un disco che fa della deriva concettuale e, soprattutto, esistenziale, la sua ragione di vita, come sembrano testimoniare brani come “Everything fades away”, “Falling away”, “Nowhere” e “Oblivion”.
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La recensione Deadline di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-02-04 00:00:00
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