Il terzo disco di Giovanni Truppi è un disco di sintesi. Viene un po’ da ridere, a dirlo, perché l’artista partenopeo ormai di casa a Roma è tutto tranne che sintetico: se nei testi è spesso verboso al punto di dover a volte “spostare” l’asta del microfono per spiegare alcuni passaggi, nelle musiche è fortemente istrionico nel suo spaziare tra rock, pop, jazz e cantautorato tout-court. Eppure, questo è un disco di sintesi (per sottrazione) sia della sua produzione così come di molta scrittura passata, sopratutto anni '60 e '70 italiani, come Jannacci, Finardi, Conte, Bennato e molti altri ancora. Di quanto da lui prodotto fino ad adesso, resta un bagaglio di esperienze, ma sono state abbandonate le spigolature non funzionali ed alcuni eccessi nello sfuggire continuamente alla forma, alzando l’asticella e distillando quindi il passato in una versione “pop” o, meglio, senza possibili malintesi e manierismi di se stesso.
Ma se già è una sintesi difficile, nel suo non esser del tutto sintetica, la sottrazione rende la via da percorrere stretta come un filo e Giovanni Truppi diventa un equilibrista, ruolo in cui forse ha preso gusto, trovando la sua dimensione. I passi si susseguono in equilibrio sulla coerenza tra i vari stili e sui registri in cui stendere le parole, giocando tra lirismo e spontaneità, senza che una di questi intacchi l’altra. A tenere bene il filo ci sono alle estremità due diverse soluzioni: due singoli trascinanti (“Stai andando bene Giovanni” e “Superman”) posti all’inizio e due ballate che svuotano l’animo a puntellare il percorso (vedi “Pirati” ed “Eva”). Una volta che una solida base è stesa, si possono aprire spazi per seri “divertissement” sociali come la “Conversazione con Marco sui destini dell’umanità” e la cavalcata rock de la “Lettera a Papa Francesco I” scritta con lo scrittore Antonio Moresco. Il taglio ironico e picaresco è rimasto e qui ha il massimo culmine in “Hai messo incinta una scema”, che magari stona nell’insieme con la sua produzione fin troppo minimale, ma permette di rafforzare il trait d’union con il passato in ottica di coerenza.
Un disco da esplorare nel suo essere poliedrico, che riesce ad aprire un modo e un mondo personale di esprimersi e di fare gli ultimi due passi sul filo, mentre le luci sono puntate in alto sull’artista; magari c'è qualcuno laggiù che teme uno schianto, ma questa volta il numero si chiude: applausi.
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