Una band con tanta rabbia e con una cantante dalla voce sorprendente, prima o poi faranno successo
I My Speaking Shoes sono un gruppo con tanta anima e forza. Il secondo album è sempre quello più difficile specialmente per chi non ama ripetersi, per chi vuole costruire, trovare la strada giusta, la giusta vocazione, e la band di Sassuolo questo lavoro lo ha fatto, perdendo qualcosa e acquistando altro.
L’album “Siamo mai stati” rispetto al primo “Holy Stuff” si ritrova con le sonorità dimezzate, i My Speaking Shoes per strada lasciano tanti, troppi suoni, se prima risultavano essere di una completezza esaltante ora riducono notevolmente la pienezza della strumentalità, “Siamo mai stati” non è un album “totale”, non è un lavoro plenario. Dove sono finiti tutti quei suoni, quegli arrangiamenti che occupano e arricchiscono gli spazi? Colpa della registrazione? Distrazione? Svogliatezza? Dimenticanze? O semplicemente poca ispirazione? Non si riesce a capire che pasticcio sia successo rispetto al riuscito album del 2012. Ma i My Speaking Shoes non hanno buttato la valigia fuori dal treno, hanno cambiato solamente vagone dimenticando il bagaglio in quello precedente.
La band di Sassuolo ha fatto una scelta importante e a nostro avviso giusta: cantare in italiano. I My Speaking Shoes hanno capito che cantare in inglese non porta molto lontano, non arriva bene alla gente, è un limite e gli inglesi (ovviamente) lo fanno meglio. La scelta di cantare in italiano è dunque ottima, la voce di Camilla Andreani è spettacolare, interessante, piena, alta e gli strumentisti le lasciano spazio valorizzandola, anche troppo forse. C’è da rivedere qualcosa nel lavoro da fare per i prossimi mesi. I My speaking Shoes sono forti, bravi, arrabbiati e un po’ confusi, anche nei testi potrebbero dare un po’ di più.
Nel primo brano “Estatina” la voce attacca bene e continua senza però essere assistita da una chitarra all’altezza di quella vocalità, un arpeggio povero e blando, mentre il basso riempie bene senza strafare; nel secondo brano “Baba Yaga” la chitarra è energica ma rimane sempre noiosa rispetto alle sonorità che ci si aspetterebbe, stessa cosa per “Calci” e “Siamo mai stati”, insomma: avrebbero dovuto concentrarsi un po’ di più nell’arrangiamento della chitarra che rimane quasi sempre ferma a mantenere un tappeto di accompagnamento alla voce; "Sirene" è più accettabile, tutti partecipano bene o per lo meno per quanto ci si aspetti.
Abbiamo voluto sottolineare le pecche di questo lavoro ma non bocciamo certamente la band che a nostro avviso merita. Vogliamo consigliare alla band qualche ascolto vecchiotto che potrebbe arricchire la loro espressività: Ishi, Franti, Lalli, Ustmamò (primi due album), e "Sorella sconfitta" di Massimo Zamboni.
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La recensione Siamo mai stati di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-09 00:00:00
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