ci sono calciatori ricchi di talento e buona volontà, in grado di ricoprire ogni zona del campo, calciatori che danno ad ogni partita tutto ciò che hanno ma a cui il destino ha riservato l'ingrato ruolo degli inespressi. la differenza tra un buon giocatore è un campione sta nella visione di gioco.
Il titolo simbolico ci avverte che questo non è un album, è un testamento, "What I used to be" vuole racchiudere in sé tutto ciò che ha portato William Wilson ad essere William Wilson. Una specie di biografia musicale, una carriera che si protrae ormai da anni in un disco che sembra debba necessariamente adottare il formato gigante per risultare esaustivo. Ho sentito il bisogno di documentarmi per affrontare un album di tale portata venendo così a conoscenza della fotta dell’autore per la poesia e in particolare per Gregory Corso. Ora è tutto chiaro.
Ogni singolo pezzo tratto dall’immaginario beat trova la sua collocazione, l’utopia della vita profonda, l’epica del viaggio inteso non nel senso puramente fisico ma anche in quello spirituale. Lo stesso "What I used to be" è stato concepito come un percorso, come un viandante che si arricchisce lungo il tragitto del suo sentiero, le canzoni di quest’album evolvono in un climax di complessità, partendo da una base acustica mediante la progressiva aggiunta di uno strumento per volta (prima la chitarra elettrica, infine la pianola, passando per un momento live) in un ideale crescendo da Cavalcate delle Valchirie.
Un’impalcatura teorica da far impallidire la Critica della ragion pura ma che, unita alle dimensioni eccessive del disco, non fa altro che privarne d’immediatezza. Come nel capolavoro di Kerouac, "On the road", dopo l’inevitabile entusiasmo iniziale ad avere la meglio è una certa prolissità. W.W. non ha mai superato il trauma dello sbarco degli alleati in Sicilia. Ha adottato un nome americano e sembra proprio si sforzi per apparire come un autore statunitense. I suoi compatrioti, Il pan del diavolo, sono invece stati capaci di dimostrare come una musica tipicamente americana come il folk possa trattare perfettamente sonorità e temi mediterranei, ed è questo che gli ha permesso a loro volta di sbarcare negli USA. Il pan del diavolo ha quindi adattato l’America alla Sicilia, William Wilson sembra volere fare il contrario. Il risultato sa un po’ di pasta all’Alfredo.
Il punto è che William Wilson è un ottimo musicista, il suo cruccio è un altro, gli manca il grip, l’appeal necessario a non risultare noioso. Le dimensioni epiche dell’album non sono la conseguenza di un ego gigante ma di uno strabordare di passione. W. W. canta in inglese, in francese, cita i poeti, ha mille influenze musicali ma è come vittima di una perenne indecisione che non gli permette mai di centrare l’obiettivo.
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La recensione What I Used To Be di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-08-14 00:00:00
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