Troppi echi baustelliani per un disco dalla poco chiara identità
“L’inutilità del male” è un disco abbastanza caotico, camuffato però da un ordine apparente ma ingannevole. Sì, perché si tratta di un disco di base blues, fatto di brani che suonano a tratti oltreoceano ma che, inaspettatamente, cambiano totalmente rotta destabilizzando l’ascoltatore. Non che sia necessario mantenere una linea dritta fino alla fine, tutt’altro, ma qui siamo ben lontani dal saper miscelare sapientemente più generi senza stonare.
Dicevamo che I Congiurati si misurano per lo più con il blues, basti ascoltare la ruvida e cadenzata “Ancora in pista”, le chitarre granitiche di “Mosche” e la marziale “Santa Teresa in estasi” fino a che, senza alcun preavviso, ci troviamo davanti al pop dolce e regolare di “Ho un debole per te”, per poi tornare ancora su ritmi più serrati con “Alice”. Ed ecco che il passo successivo profuma di una new wave al femminile con "Il male", che vira subito in “Più giovane di ieri”, pezzo che ricorda molto le chitarre dei sempre troppo emulati Oasis, e la conclusiva “La mia eroina”, sempre sulla stessa frequenza della sua precedente sorella.
Man mano che si procede con l’ascolto sentiamo sempre più forti echi baustelliani (le già citate “Alice”, “Il male”, “Mosche”), forti anche nei temi ripetuti nei brani (le città di Brindisi e Rimini, giusto per fare un esempio), e il disco finisce con il risultare poco chiaro e privo di una forte identità. Niente di spiacevole certo, ma gli otto brani, nonostante alcuni episodi sui quali si potrebbe lavorare meglio e nei quali si percepisce del potenziale, non spiccano per originalità. In definitiva sì, si può fare di meglio e c'è bisogno di più impegno.
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La recensione L'inutilità del male di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-08-28 00:00:00
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