Ogni tanto mi dimentico che per un’infatuazione bastano trenta secondi.
Mi sono abituata a cercare la bellezza nella ripetizione, mi sono convinta che abiti nei particolari e nella conoscenza ma oggi ho avuto i trenta secondi.
L’innamoramento che precede il pensiero.
Mi ha conquistata subito. Trenta secondi. Poche note. La struttura di un valzer stretta alla densità di un rock graffiato e distorto: è amore.
E’ difficile dire che nomi emergano dai loro suoni perché hanno la splendida facoltà di prendere elementi in posti diversi e agitarli fino a privarli delle sbavature e degli eccessi della staticità; sanno sfruttare il bello altrui senza venirne immobilizzati.
Qualcuno va fatto, per comprensione più che per ossequio: Pixies, Sonic Youth, dEUS, Marlene Kuntz ( a patto che la memoria sfogli quelli catartici e vili, quelli non ancora legati alla propria storia), ma sono scarsi e insufficienti.
I Quinto Stato hanno il suono dei Quinto Stato.
Un suono compiutamente compatto nonostante ogni strumento appaia sovrano, cedendo alla voglia di urlare la propria presenza fondendo strappi bruschi a virtuosi e raffinati intrecci. I dieci brani hanno lo spessore e la profondità di un ambiente buio ma sono pieni di luce, “Fresco” vive di questi contrasti, soffusi per l’intero lavoro, ha l’intonazione ossessiva di una filastrocca ma è piena di singulti elettrici e rumorosi che la rendono reale e imprevedibile. Contrasti sottolineati anche dalla voce di Giovanni Fanelli. Giovane, inesperta e spontanea ma dolce, lieve e intensa.
Entusiasmo. Mi sono fatta guidare dall’entusiasmo. E’ bello.
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