Il loro primo ep mi aveva colpito, era un primo grande passo verso la costruzione di qualcosa, qualcosa che andasse oltre l'infinito per citare il nome della band campana. Ma chi si aspettava che in meno di un anno avrebbe bruciato le tappe in questo modo? "Faces from the ancient gallery" è il disco di un gruppo che sa perfettamente quello che vuole fare, e non sta più imparando a farlo.
Più ossessivo, più rumoroso, ma anche più studiato, più calibrato nell'incastrare tra di loro gli strumenti e le dinamiche, raffinando l'utilizzo della voce in un modo che ricorda quello di altre band della scena psych italiana contemporanea, come i Go!Zilla e i Vickers. Dosata negli interventi, sovrastata dal feedback, effettata e doppiata dai cori quando serve ("Nobody's in the river"), supplisce alla perfezione alla mancanza di un timbro identificativo.
Perché la cosa importante non è far capire o far sentire: fa tutto parte dello stesso vortice sonoro, in cui spesso un suono o due rimangono costanti sulla base di tutto il pezzo, incastonandosi nella testa e trascinandola volente o nolente in un onirico viaggio senza meta ("It isn't over"). Un viaggio che dura per tutto il disco e di cui le canzoni sono solo delle accelerazioni ("Dancing in the night") o delle decelerazioni ("Child sad eyes"), mai delle tappe o delle fermate.
Un viaggio alla velocità della luce, e insieme a passo d'uomo. Perché oltre l'infinito, anche il tempo è relativo, e non occorre necessariamente andare troppo veloci... no, aspetta questo discorso sta prendendo una brutta piega, mi sa che sono i postumi di "Interstellar" che ho visto ieri sera. Facciamo così: premete play, e capirete perfettamente cos'ho in mente. E soprattutto cos'hanno in mente i 23andBeyondtheinfinite: un altro nome da segnarsi per una scena psichedelica che sta vivendo uno dei suoi momenti più felici.
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