Praga, Napoli, Cartagena. E poi Padova, Cuzco, Puerto Canal. Che nemmeno esiste, se non nella geografia dei luoghi dell’anima. E perdonate la deriva new age. Del tutto fuori luogo, peraltro, in un album legato assieme da suoni vivi, ritmi incalzanti, vivacità a oltranza.
“Viaggi senza ritornello” nasce vagabondando da un capo all’altro del mondo, lontano dai cliché del turismo globalizzato. Luca Ferraris preferisce tendere la mano alle storie, alla dignità dei popoli e alle loro contraddizioni. Per poi narrare di uomini (compreso nonno Pasquale) e donne sulla scorta di una strabordante ironia, ma anche di realismo e persino di un pizzico di tristezza. Il cantautore friulano inquadra la sua poetica all’interno di una sonorità spesso scoppiettante, divisa tra richiami balcanici, influenze klezmer, schegge folk, spezie jazz, cadenze sud americane. Oltre agli zingari e all’ex Jugoslavia, ecco Paolo Conte, Fabrizio De Andrè, Renato Carosone se non Aurelio Fierro (ascoltare la divertente “Penzammo ’a salute” per credere), pronti ad allargare la visione, ad abbattere gli steccati. Che poi non è nient’altro che l’obiettivo principale di un disco poliedrico e suonato come meglio non si potrebbe, forte di arrangiamenti curati e densi (la spettacolare seconda parte di “Duemiladodici parte 1” vale da sola il prezzo del biglietto).
Ospiti non proprio di secondo piano (Remo Anzovino, il dio dei buskers Victor L.C. Young, e ci fermiamo qui) ci mettono del loro, impreziosendo un’ispirazione che raramente evita di rispondere all’appello (esempio: “Mantra nel Marocco” sembra fuori contesto). Già, siamo di fronte a un gran bel disco, soprattutto per chi non ama viaggiare in prima classe.
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