Ormai messa alle spalle la formazione da cantastorie ‘atipico’, figlia di un percorso di vita per certi versi bizzarro, che lo ha portato all’acquisizione di una buona notorietà prima in Svizzera ed in Germania, e solo più tardi nella natia nazione selvaggia, Pippo Pollina torna a misurarsi con la giungla della discografia italiana.
“Racconti brevi” è il suo decimo album (se si esclude una raccolta uscita qualche mese fa in edicola), il terzo licenziato, sul territorio del regno, dalla Storie di note. Ed è un bel sentire: ricco di ospiti importanti - tra i quali il bassista Saturnino, il percussionista Hossam Ranzy (già con Peter Gabriel) ed il chitarrista Robbie McIntosh (con un passato di session man al fianco di Paul McCarteny e Dire Straits) - “Racconti brevi” si presenta come un disco in stile cantautorale (a tal proposito, si potrebbe tirare in ballo Ivano Fossati), interpretato però, con chiavi di lettura inusuali, almeno ai nostri tempi. Non proprio nel senso di una rottura con la tradizione, nei confronti della quale sussiste un innegabile filo diretto; sembra, più che altro, che il musicista siciliano abbia voluto seguire la strada più difficile, tentando di inserirsi nel filone di una forma canzone piuttosto rigorosa, con poco spazio a leggerezze di ogni sorta ed alla faccia delle classifiche.
Non è un caso che il cd si apra con la poetica “La memoria e il mare”, presa a prestito da un cantante scomodo come Lèo Ferrè, innegabilmente interpretata con passione e ardente coinvolgimento. Quasi un manifesto programmatico di questo “Racconti brevi”, nel corso del quale Pippo Pollina ed i suoi musicisti si incaricano di raccontare storie che pescano a piene mani dalla storia del nostro paese. Senza distacco, con nessuna concessione alla retorica. Come nel caso di “Cento passi”, scritta in memoria di Peppino Impastato, o di “La tenda rossa”, ispirata ad Umberto Nobile ed alla sua tragica trasvolata, in dirigibile, sull’Artico. Canzoni su ‘magnifici perdenti’, con in testa l’insurrezione contro la mediocrità della vita. Ed è quello che si è messo in testa anche il Nostro, persino quando gli argomenti sono meno impegnativi e abbracciano tematiche come i sentimenti (“L’amore dopo la caduta del muro”, “Questo amore”) o l’amicizia (“Marrakesh”). Anche “Bella ciao” non suona banale: l’idea di coinvolgere l’orchestra in una marcetta spensierata, regala al tradizionale partigiano un’immagine di gioia e di voglia di vivere. La parte musicale del disco, al contrario, ha pochi sussulti. Il suono ha poco a che fare con arrangiamenti smaccatamente rock (con l’eccezione di “Why”) ma, paradossalmente, l’energia non manca. Sarà anche per le continue incursioni di strumenti di origine orientale, delle quali la band fa uso spesso e volentieri, o per lo sfoggio di competenze linguistiche (“Plötzlich” è interamente cantata in tedesco, ma è possibile imbattersi anche con citazioni in spagnolo e francese, senza dimenticare la siciliana “Banneri”), di certo, questo è un lavoro che non stanca. Pippo Pollina è riuscito a dargli un’anima e a non farlo cadere nel rischio nel melenso, nonostante qualche invadenza di troppo degli archi (come nella parte finale di “Sambadiò”).
“Racconti brevi” è una testimonianza di come si possa riuscire a scrivere un disco importante, più colto che impegnato, senza cadere nella trappola della noia. Che, poi, queste canzoni non riusciranno ad entrare nella play list delle radio di plastica, è un altro conto.
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La recensione Racconti brevi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-10-31 00:00:00
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