Uno strano miscuglio di strumenti folk, metal e atmosfere da festa di paese.
Il disco d'esordio dell'Opificio del Dubbio ha un titolo molto emblematico: "D'Istinto". Sembra infatti che la formazione veneta abbia avuto fretta di accorpare influenze diverse, affini tra loro più o meno come un mattone e un calzino. Nelle sette tracce dell'album fanno capolino pezzi dalla chiara sonorità metal, ma anche riff punk rock e qualche passaggio dai ritmi ska. Quello che però sorprende maggiormente è la gamma degli strumenti utilizzati, che include banjo, mandolino e flauto traverso. Quest'ultimo risulta particolarmente presente e fa scattare subito l'associazione con i Modena City Ramblers, ma anche quelle disturbanti versioni di canzoni famose come "Nothing Else Matters" e "Losing My Religion" cantate in stile coro di monaci medievale.
Anche i testi oscillano tra la malinconia amorosa e il lirismo bucolico, con abbondanza di termini dal sapore desueto e la volontà di regalare immagini originali che semplicemente non si capisce dove vadano a parare. Picchi di bizzarria contenutistica si toccano con versi come "mi rifugio in un buco dove un orso è in letargo, il suo fiato fetente non mi lascia scampo" tratti da "In becco al Gheppio", seguiti da tentativi di critica simil socio-politica come "Se dell'oppresso è il grido che avanza non aspettare che arrivi anche a te: alzati ed esci, trova speranza nel valore più grande, la libertà" in "Il vento nella gabbia". In sintesi, l'Opificio del Dubbio ha le capacità per crescere, ma dovrebbe forse sfoltire un po' i fondamentali, scegliendo quale delle molte facce che hanno mostrato sia veramente la loro.
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La recensione D'istinto di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-16 00:00:00
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