Due giri di batteria che riportano alla mente “Lust for life” di Iggy Pop ci introducono nel mondo di Geco e Le Situazioni Kafkiane, fatto di allegria e spensieratezza (“Vivo”) ma anche di momenti di profonda nostalgia nei quali è difficile trattenere le lacrime (“Notte fonda”). Diverse sono infatti le sfumature di stati d’animo e di esperienze che vengono raccontate nei tredici brani che compongono questo “Rivoluzione stazionaria”, primo lp della band meneghina.
È raro trovarsi di fronte ad un disco d’esordio già in grado di scatenare emozioni così intense e contrastanti, e difatti scopriamo che la band (formata da amici tutti polistrumentisti) è giunta al suo debutto sulla lunga distanza dopo circa 7 anni di gavetta, che si fanno ben sentire nella maturità del sound proposto così come nella raffinatezza dei testi, degni dei grandi cantautori italiani, e nella cura degli arrangiamenti.
Ska, pop, reggae e funk sono i principali generi di riferimento, in cui si inseriscono talvolta brevi parti recitate (non dimentichiamo che Geco, il cantante, è nato come attore) mostrando il chiaro intento di valorizzare prima di tutto il messaggio contenuto nei testi, scritti con l’attitudine dei cantautori “politici”, Gaber e Jannacci su tutti (“Ladri di pensiero”, “Falsi invalidi”, “Valzer costituzionale”) e con una costante vena di ironia e sarcasmo, che in “Smog” fa pensare addirittura ai momenti più frizzanti di Renato Rascel o del Quartetto Cetra.
Dall’ascolto di questa “Rivoluzione Stazionaria” alla fine viene fuori una fotografia dell’Italia di oggi, con tutte le sue contraddizioni. Costantemente sospesi a metà tra l’indignazione e la denuncia, tra la narrazione di storie emblematiche e l’orgogliosa voglia di vivere, Geco e Le Situazioni Kafkiane sono riusciti a confezionare un album davvero interessante, che fa ben sperare per il loro futuro.
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