Se fosse un vinile, sarebbe già pieno di fruscii e crocchi, testimonianza dell’amore che questo dischetto sa farsi portare, ben al di là del dovere della recensione. Scatena la voglia di ascoltarlo sempre, ideale colonna sonora dell’autunno incipiente, con le sue note di piano lievi e malinconiche come foglie che cadono sotto i raggi di un sole ancora tiepido. È “Caffè Cortina”, seconda prova dei Non Voglio Che Clara, band che, come già scritto altrove, realizza mirabilmente un ideale ‘trait-d’union’ tra i ‘60 italiani di Luigi Tenco, Gino Paoli e Mina, gli ‘80 albionici degli Smiths, Aztec Camera e Prefab Sprout, e il luminoso e tormentato presente dei Divine Comedy, di cui a ragione i feltrini potrebbero essere considerati gli eredi italiani.
Sgombrato il campo dai riferimenti, resta da dire che questo dischetto rappresenta un deciso passo in avanti rispetto al primo omonimo mini-cd, eliminando un sovrappiù di dissonanze che impediva alla malinconica tristezza delle canzoni di Fabio De Min di dispiegarsi in tutto il loro profondo impatto. È il cosiddetto ‘pop da cameretta’, questo, che ha fatto scuola in Inghilterra, ma da noi è sempre stato un po’ snobbato dopo i magnifici ‘60, cui, fin dal titolo, questo lavoro si ricollega. È un pop cioè fatto di sentimenti tenui, nuances dell’anima, sfumature esistenziali, piccoli dettagli della vita che rivelano mondi interiori lontani anni luce dal modello giovanile imperante sui media, tutto superfun, che sia alternativo o integrato al sistema. In realtà le camerette sono popolate ancora da milioni di adolescenti timidi e delicati, come testimoniano i long seller Smiths. E di essi i Non Voglio Che Clara possono essere i portavoce più capaci, se solo qualche discografico lungimirante si fidasse di qualcosa di più reale dei video di Mtv o Allmusic.
Ma sono capaci di parlare a ogni età della vita, questi ragazzi, a testimonianza di una maturità compositiva rara. I testi di De Min, poi, sono veramente belli, e, grazie a Dio, non sono sulla scia di nessuno dei modelli imperanti. Uniscono invece l’indifferenza esistenziale di Tenco (“Lo so, lo so, lo so, / tu non hai soluzioni per me / carezze neanche / se ti senti sola / una soluzione la si trova / ci si aggrappa e si prova”) all’amour fou di Paoli (“I miei piani per il sabato sera / tengono conto ormai solo di dove vai / tutto il resto non conta più”).
Che dire ancora? Questo disco è im-per-di-bi-le!
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