Fare il cantautore è oggi un’arte difficoltosa, divenuta ormai appannaggio dei rapper, che raccontano con toni più o meno aggressivi il nostro vivere quotidiano – e lo fanno per giunta molto bene, sia chiaro. Ma al di là di ogni diatriba tra difensori delle sei corde e paladini del freestyle, riuscire a farsi portavoce di un mondo sempre più globalizzato è una sfida complessa. Soprattutto se lo si fa utilizzando mezzi d’espressione variegati e diversi tra loro, dando libero sfogo all’improvvisazione e alla creatività.
La miscellanea estrazione ed esperienza musicale dei Carneigra è in questo senso una componente fondamentale, che consente loro di arrangiare e amalgamare sonorità rock, swing, jazz e soprattutto pop in senso letterale, vale a dire quella musica folclorica tipica dei nostri luoghi d'origine.
"A vita bassa" è un viaggio in più fasi dove distorsioni, percussioni, accenti spostati di batteria convivono inizialmente in maniera pacifica, per poi crescere in una collisione di suoni che implode su se stessa, stanca e assonnata (“È un Lavorone”). Una tragicomica epopea del vivere quotidiano, filtrata dall’ironia distaccata di chi sorride dei propri guai, raccontandoli in vernacolo toscano come fossero le barzellette che si raccontano in bar agli amici.
La voce di Emiliano Nigi, fondatore della band, alterna inflessioni dialettali, lingua spagnola e malinconia bohémien alla Paolo Conte, in un caleidoscopio di emozioni che passa dalla rabbia del quarantenne precario, alla follia visionaria di un gitano giocoso e frizzante, per poi virare verso gli ultimi brani del disco, dove la fanno da padrona sonorità più oniriche e sussurrate.
Un caravanserraglio di influenze che forse, proprio per questo suo libero accostamento dei generi musicali, riesce meglio ad adattarsi alla multiforme realtà di oggi. Che in fin dei conti vuol dire proprio questo, fare il cantautore...
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