La “piccola corrente poetica” dei Poetemodì torna con un buon album che è sia punto di arrivo che slancio per una ripartenza
Quello dei Poetemodì è un progetto complesso, un “piccolare corrente poetica” che alla musicale tout court affianca e mescola reading di poesia, incursioni nella letteratura e nel teatro. Anche il filone più strettamente musicale del progetto abbraccia un’idea di musica multiforme, che si è concretizzata nella pubblicazione simultanea di due album complementari ma parecchio diversi: se “NADABRAHMA (visioni e revisioni di una metafisica progressiva)” è un album multiforme, a tratti sperimentale, che si presenta anche come colonna sonora di un percorso onirico e spritiuale, “Ioide” raccoglie canzoni già eseguite dal vivo negli ultimi anni ed è un album più tipicamente rock. In particolare, si colloca comodamente alle coordinate dell’alternative rock italiano, quello ormai classico dei, per citarne due, Marlene Kuntz, e Afterhours.
Chitarre distorte in abbondanza, impronta melodica calcata ma concedendo poco al banalmente orecchiabile, frequenti cambi di registro, testi evocativi fra l’introspettivo e il visionario sono i pilastri dei 9 brani di questo esordio. Il lavoro suona a tratti un po’ datato e potrebbe passare per un disco anonimo, ma la verità è che i Poetemodì fanno ci mettono troppa cura per risultare insignificanti. Le canzoni non solo sono confezionate alla perfezione in un suono solido e in arrangiamenti convincenti, ma riescono a guadagnare in personalità dove non vincono in originalità: giocano con la struttura dei brani e con gli strumenti, mostrando una verve eclettica che non sarà rivoluzionaria o rivelatrice, ma che li spinge a usare, per fortuna con poca parsimonia, tutti i colori della tavolozza del rock e anche qualche altro; così ci troviamo davanti a strumentali sregolate in combo con ballate a base di violino (“Time passes” e “Ninna nanna a tempo”, sdolcinata ma imponente), riffoni saturi di distorsione, synth e archi di scuola prog, spoken words indolenti e chi più ne ha più ne metta. Anzi, si può forse dire che l’album intero sia intriso di un gusto quasi barocco, che traspare dalla ricchezza degli arrangiamenti e da elementi come la (peraltro ottima) seconda voce femminile; questo sapore è quello che impedisce al disco di risultare noioso, quello che rimane più impresso, però è in parte anche quello che regala un’aura per certi versi datata a tutto il lavoro, e che rende macchinosi e poco scorrevoli alcuni brani(uno su tutti “Vergine in fiamme”). Insomma, una lama doppio taglio che può essere usata meglio, ma che comunque è l’anima di un disco che, nel suo essere riepilogo di un’esperienza sui palchi, è sicuramente un buon punto di arrivo ma ha le potenzialità per essere anche punto di partenza di un ulteriore percorso di crescita.
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La recensione IOIDE di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-03-16 00:00:00
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