Quando guardi fuori dalla finestra spesso ti accorgi di osservare i vetri, la pioggia che scivola sulla polvere, la tua sagoma che si riflette opaca. E in quel rettangolo liscio e sottile che ti separa dal resto si concentrano le emozioni che vuoi tenere per te, quelle che rimangono appese al confine di una primavera umorale, al bivio fatidico dove, piuttosto che sbagliare strada, ti fermi a guardare fuori dalla finestra, e guardi te, e ricominci da capo. “Columns” sembra seguire un percorso simile: tutto pare svilupparsi in una stanza colma di sensazioni diverse ma sempre personali e saldamente ancorate allo spleen e a sentimenti decadenti, minimali, sofferti. La voce di Omake (al secolo Francesco Caprai) definisce gli standard, offre l’unità di misura con cui costruire i brani, è una voce che sale dalla darkwave per attraversare strati di cantautorato intimista, gelida eppure ricca di sfumature nella sua apparente staticità, un’arma forte e profonda che è protagonista tra chitarre acustiche e derive elettroniche, tra ballate sintetiche e turbamenti melodici.
“Darkside/The Fighter” è l’esatto bilanciamento di queste componenti, la tristezza degli effetti, il sample di “Everything I Am” di Kanye West che tenta di alleggerire la materia, le aperture sinfoniche che irrompono come onde romantiche a trascinare via; le note pulite di “Deer/The Hunter” (col featuring di A Safe Shelter) sono intrise di quel folk che soffia dal nord, immobile tra i ghiacci per paura o per scelta, come te immobile dietro ai vetri, fisso all’amaro bivio. “Slowrunner” prende i colori di un synth e li accosta al buio, e le incursioni di Machweo dilatano un poco i colori scuri mescolando beat e distensioni ambient. “Florida” è un manifesto cantautorale, è un sussurro denso che si perde in luoghi immensi, tra gli arpeggi e i riverberi, tra la pioggia e la polvere, e ti senti al tempo stesso pronto e sconfitto.
“Columns” è un disco d’esordio che colpisce per intensità e potenza emotiva, per i paesaggi che riesce a creare pur restando in un piccolo spazio, in una stanza piena di sensazioni diverse, senza guardare mai oltre i vetri ma concentrandosi sui riflessi e i giochi d’ombra e le gocce che, lentamente, scivolano via.
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