Da Cesare Basile puoi aspettarti solo coerenza, sangue, sudore, rabbia. Nient’altro che l’essenza dell’eternità, il senso dell’esistenza, la sintesi per chi vive la musica come educazione della memoria. “Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più”, ennesimo capitolo della sempre più corposa produzione dell’ex leader dei Candida Lilith, non può essere altro che un disco sporco, viscerale, denso di sicilianità.
I pupi e i pupari, gli aranci, i cantastorie, le chiese e le canaglie rivoltose, il dialetto (lingua?) catanese come una medaglia puntata sul petto. E soprattutto i derelitti, gli ultimi, gli sfruttati. Già, Basile non è per nulla rassicurante (“La libertà mi fa schifo se alleva miseria”): ti prende a pugni, ti vomita addosso un’istintività blues anch’essa sporca, anch’essa in arrivo dal profondo delle viscere. Un blues disperso in mille rivoli, a volte smarrito tra le dune di chissà quale deserto (le atmosfere di “Araziu stranu” non ricordano forse i Tinawiren?), altre confuso in mezzo ai suoni vivaci di una banda di paese, all’interno della quale potrebbe militare Tom Waits (“Franchina”), oppure inserito accanto a scampoli di folk obliquo (“Muscatedda”), fra toccate e fughe di retrogusto lisergico (la parte conclusiva di “Di quali notti”). La dolcezza inaspettata di “U chiamunu travagghiu” prova a chiudere il cerchio, le asperità no-jazz in stile Lounge Lizards lo riaprono, la voce rigorosa di Rita “Lilith” Oberti (“La vostra misera cambiale”) mette tutti d’accordo attorno a un lavoro intenso, avvolgente, a tratti persino commovente, impreziosito dalla presenza di ospiti illustri del calibro di Rodrigo D'Erasmo, Manuel Agnelli, Enrico Gabrielli (e l’elenco potrebbe continuare).
Coerenza, sangue, sudore, rabbia, si commentava poco sopra. E cerchiamo in rosso il termine coerenza: le canzoni di “Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più” non godono della tutela Siae. Una scelta di campo, quasi una sfida o, se vogliamo, un invito a liberarsi dalle cattive abitudini. E per chi si contorce tra irti reticolati di dubbi ed esitazioni, c’è sempre un Premio Tenco da portare a casa.
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