Genio, follia, trollata o gente che semplicemente non sa suonare?
Partiamo subito col dire che questo non è un disco memorabile, tutt'altro. I difetti sono tantissimi e superano sicuramente in numero e qualità i pregi. Innanzitutto la produzione, ammesso che ce ne sia una. Ai limiti dell'ascoltabile. C'è una sottile linea che attraversa il confine tra il fare un disco lo-fi e e registrare male un disco, e l'etichetta di “lo-fi” non può diventare una scusante per nascondere carenze che sarebbero facilmente aggirabili con la tecnologia ad oggi disponibile.
Entrando nel merito, il disco si apre con “Kurt Cobain”, un noise spoken-word che fa il verso come interpretazione ad Emidio Clementi, e non si capisce bene come si leghi al resto del disco; dopodiché si cambia completamente registro: “Late night” contiene un plagio non sappiamo quanto consapevole di “Boys don't cry” dei Cure; la sezione ritmica si affida ad un pre-set di tastiera e sul finale la chitarra elettrica fa un pasticcio andando fuori tempo, lo stesso accade in “Fish can fly”, dove basso e sezione ritmica non riescono proprio a mettersi d'accordo, nonostante qualche buono spunto melodico.
In “Western films” purtroppo non si colgono bene le parole, è una specie di blues autistico che prende in giro il mondo delle popstar e della dipendenza delle band dai feed social (“Se non vai sui social web non sei il primo della classe / Devi essere più un tipo a prova di clic / Che certo rende tutto un po' più chic” - capirete anche il livello delle rime), e contiene l'immagine più divertente del disco (“Pippo Baudo fatto di crak”). Così questo “Costellazioni propizie” va avanti tra scivoloni incredibili come l'autoplagio di “Fitness spot”, con lo stesso giro di basso e linea melodica di “Fish can fly”, continui andare e venire dall'italiano all'inglese, una voce a malapena intonata, varie stranezze che richiamano i primissimi esperimenti di Bugo, che però faceva del suo essere così anti-musicale un atto quasi politico, una forte caratterizzazione del suo mondo interiore fatto di periferie e alienazione. Era, a suo modo, arte. Dirlo col senno di poi e dopo aver assistito in tutto il suo percorso artistico è facile, all'epoca l'indecisione tra genio e follia era forte.
Purtroppo allo stato attuale delle cose non è chiaro se Il Pesce & Bros siano un atto creativo talmente avanguardista da non poter essere colto tramite gli strumenti critici attualmente a mia disposizione (ma anche una trollata, per dirlo col linguaggio di internet), o se siano semplicemente delle persone che non hanno né il mezzo né il messaggio. Magari la prossima volta allegare i testi o dedicare 5 minuti in più a registrare meglio la voce, per capire se hanno qualcosa da dire.
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La recensione Costellazioni propizie di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-16 00:00:00
COMMENTI (2)
Per quanto sia una critica reale e costruttiva si giudica forse troppo l'abito e non l'anima del progetto.
Grazie dello Spazio
Chiara Longo non apprezza appunto l' avanguardismo che va oltre le finzioni artefatte della Musica in Scatola.
Se le piacciono i cliché beh direi che ne sa a pacchi !!!!!!!!!!!!!!!!
SALUTI IL PESCE