La coerenza con se stessi è sempre una gran rottura. Nelle relazioni, a lavoro, persino in quello che scegli al supermercato. Sempre. È in assoluto uno dei temi capaci di mandarti in tilt più facilmente, perché intesse delle barriere ideali che sono assolutamente inutili e poco pratiche. Se sono questo, allora vuol dire che devo pensare e agire come questo? O potrei anche essere questo, pensare quello e agire quell'altro ancora? In questi giorni mi sta logorando il cervello, ed è per questo che ritrovare questo tema così presente ne “Il limite valicabile” ha reso l'ascolto dell'intero disco non solo piacevole (22 tracce lunghe in media 10 minuti ciascuna: può diventare lunghino), ma persino bello.
D'altra parte al duo di Rimini è sempre stata riconosciuta una visione del mondo estremamente acuta, che per alcuni vuol dire spocchiosa, e per altri, tra cui la sottoscritta, di una profondità e una completezza rincuoranti. Un altro punto sul quale gli Uochi Toki dividono il pubblico è il seguente: ci sono quelli che “Uochi Toki fanno rap” e quelli che “Uochi Toki non fanno rap”. Personalmente non riesco a incastrarli dentro all'etichetta di rapper. Mi sembra facciano qualcosa di diverso, qualcosa che si distanzia da tutto. E questo ci porta dritti al concetto di coerenza di cui sopra, perché il fil rouge di questo disco, quello attorno a cui si snodano tutti gli altri concetti, è proprio l'invito di provare a pensare fuori dagli schemi preposti.
Ne parlavano già ai tempi de “L'Estetica”, rinnovano l'appello anche qui: impara a distinguere tra quello che ti piace e quello che adotti per inerzia perché inerente o correlato a quello che ti piace. Accorgiti del fatto che forse non stai gestendo bene il concetto di incoerenza. Che la tua presunta coerenza a un genere o gruppo sta prendendo il posto della tua scomoda, incasellabile e amorfa identità. Da qui la loro proposta indecente a concentrarsi sul senso di quello che si ha davanti, prima ancora che sulla propria identificazione o non identificazione con quella cosa.
Quindi la vera domanda non è se gli Uochi Toki facciano rap o no. La vera domanda è “È utile la domanda «gli Uochi Toki fanno rap?»”. No. Forse sarebbe più utile chiedersi se questo è uno di quei dischi che apprezzi in modo direttamente proporzionale al numero di citazioni che riesci a cogliere (in altre parole, la qualità del disco dipende da te). O concentrarsi sull'utilità della vagonata di spunti di riflessione che fornisce, su temi come le sostanze stupefacenti, la percezione del corpo femminile, l'uso improprio dell'uso corretto della lingua italiana, il fardello del talento che inibisce l'atto creativo, la poesia di Leopardi, l'assurdità di possedere una macchina a benzina e così via.
Esempio: “Shake Your Asset”. In pratica parlano del fatto che l’attrazione del genere umano per il culo non è nient’altro che attrazione per le feci. E dire che di culo ne abbiamo avuto da parlare ultimamente, considerando che tutto il popolo di internet negli ultimi 12 mesi è stato concentrato sulle natiche di Kim Kardashian, che il sesso anale è stato ampiamente sdoganato ed è passato da tabù a discorsi da pausa caffè e che la spiegazione “è attraente perché è proibito” è veramente di un’ingenuità senza confini. È la prima volta che sento qualcuno che finalmente pronuncia quelle cinque parole che sintetizzano il perché della più grande rivoluzione sessuale dei tempi della new economy: “Il culo fa la merda. è per questo che ti piace” Ah, che liberazione. Dopo una vita passata a vergognarmi (come ogni donna) di ogni pelo fuori posto, ogni rotolino di grasso, ogni brufolo e centimetro di ricrescita, sentire qualcuno ammettere che il genere umano è attratto dal culo perché contenitore di quanto c’è di più sporco e puzzolente nei nostri corpi, è veramente confortante. Ora ho finalmente una scusa valida per smettere di depilarmi. E ancora, alla base di tutto: la coerenza. L'ideale occidentale di corpo femminile è praticamente asettico se non artificiale, ma non riesci a fare a meno di essere attratto dal quel party di batteri che è l'ano. Insomma, buttateci un orecchio.
Le basi seguono la deriva intrapresa da tre album a questa parte: sempre meno fluide e meno orecchiabili, puro e crudo industrial. I featuring sono numerosi, da Maolo di Sin/Cos in "Don't Legislaizah", a Campidilimoni Tokinawa in "Bim Bum Cha", continuando con Murubutu in "Rest in Prose, Rest in Poetry" (poesia allo stato puro), a Miike Takeshi in "Talento e Merito tradotti in inglese diventano altre cose", fino a Eell Shous per "Krust and Curious". Nel secondo disco Matteo Marson co-firma le due tracce che aprono la parte strumentale del disco, in cui si passa dal noise alla chillout con disinvoltura e che chiudono l'intero album in religioso silenzio verbale.
Gli Uochi Toki sono un po' i Banksy della musica italiana. Ti mettono davanti delle idee talmente ovvie che quasi ti incazzi perché ci saresti potuto arrivare anche tu, se solo ti fossi fermato a rifletterci sopra un attimo. E forse con l'arte non hanno solo una somiglianza concettuale, ma anche di fruizione: un disco così non lo ascolti la sera quando torni da lavoro per rilassarti. Lo ascolti molto più raramente, ma quando lo fai lo fai con intenzione. Perché hai deciso che hai voglia di pensare. Un po' come mettere in cuffia un'installazione audiovisiva. Forse tra un po' ce li ritroveremo in mostra alla Triennale, mentre saremo ancora lì intenti a chiederci se il loro è rap o no.
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