Per chi forse non ricorda con precisione, dalle colonne di questo sito avevamo seguito la gestazione di questo disco nel tempo in cui venne realizzato, attraverso la pubblicazione degli studio-report che i Mosquitos stendevano appositamente per Rockit. Da allora (si parla del dicembre 2000), tutta una serie di disavventure discografiche hanno costretto la band di Frosinone a posticiparne l’uscita, finché i ragazzi (sempre più meritevoli) di Fosbury non ne hanno decretato la pubblicazione sotto il loro marchio. Il che non dovrebbe stupire, visto che se ci fosse un’ipotetico manifesto sonoro a cui l’etichetta veneta dovrebbe di volta in volta far riferimento, “Electric center” aderirebbe in pieno per atmosfere e sentimenti derivanti dall’ascolto.
Non è infatti un mistero che alla Fosbury si preferiscano - fra le tante cose - le strutture oblique, i suoni volutamente lo-fi e i cantati non-convenzionali a dispetto di schemi codificati, registrazioni ultra-professionali e vocalist dotatissimi.
Tutti requisiti, questi, che l’opera palesa fin dalla prima traccia, quella “Mosquito” che altro non è che uno strumentale in cui vengono anticipate le coordinate sonore del disco. In cui prevale una psichedelia perlopiù latente, rimodellata secondo i canoni del terzetto e quindi mai banale ma, al contrario, pregna di significati a loro modo originali. Ciò in un contesto che vede i Nostri optare per suoni decisamente sporchi e affini all’immaginario del ‘paisley-underground’ - di cui non hanno mai fatto mistero. Quindi canzoni che rimandano direttamente ai pionieri del genere (“Carcrashair”, “Heartcake”, “Solvency”) dove il terzetto sprigiona tutta la foga rock‘n’roll nella forma in cui lo stesso genere ne decreta i contorni.
Più sperimentali, invece, tracce come “In mid air”e “The inarticulate speech”, per le quali non nascondiamo di nutrire un debole rispetto al resto della scaletta, forse perché proprio in questi passaggi i Mosquitos dimostrano la loro originale visione della musica, cedendo il passo ad una ricerca sonora mai fine a sé stessa ma piuttosto sinonimo di pura creatività. A questo proposito si dia anche ascolto a quella “Lower ground”, inserita nel 3° volume di “Loser, my religion”, che, salvo sorprese future, dovrebbe rappresentare in maniera inequivocabile il percorso musicale intrapreso dai Nostri.
Altrettanto avvolgenti le ballate, posizionate in coda e che portano il titolo di “Summer of the bees” e “The flowers and the story tracks”, come anche “Ten pictures reserved” che, tanto poppettosa quanto piacevolmente leggera, ha il compito di chiudere un’opera il cui ‘consumo’ è riservato esclusivamente a coloro che si avvicinano alla musica non certo con la voglia di trovare certezze (e melodie) rassicuranti.
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La recensione Electric center di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-11-22 00:00:00
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