Jennifer Gentle
I am you are 2015 2015 - Rock

I am you are 2015
04/04/2015 - 09:00 Scritto da Renzo Stefanel

Due album fondamentali ristampati. Imperdibile sguardo sugli inizi di una delle due migliori band italiane post-2000.

Bomba Dischi ripubblica i primi due album dei benemeriti Jennifer Gentle, alfieri controcorrente dell’indie italiano all’estero. Controcorrente perché, quando se ne uscirono nel 2001 con “I Am You Are”, parevano un alieno caduto sulla Terra dei Cachi e nessuno (o quasi) li voleva reclutare nei ranghi dell’indie nazionale. Alfieri perché, come si sa, hanno avuto ragione loro: contratto con la Sub Pop, tre tour in Usa e Cina, due in Uk, apertura di nuovi orizzonti e frontiere musicali in Italia.
È quindi quanto mai interessante andare a riscoprire quello che succedeva quando tutto è iniziato. “I Am You Are”, nato dopo mesi a Berlino, non a fare il Bowie, ma il gelataio, è forse oggi, tra i due, il disco più interessante, perché propone dei Jennifer ben diversi da quelli che poi hanno consolidato la propria fama, pur nella ricchezza delle soluzioni sonore. Qui dominano chitarre acustiche o elettriche quasi mai distorte (e quando lo sono, lo sono pochissimo), bonghi, una batteria più coloristica che ritmica (il marchio di fabbrica di Alessio Gastaldello in quegli anni), flautini. I brani appaiono debitori del blues e della psichedelia, in uno strano incrocio tra lo shoegaze inglese degli Spacemen 3 (“Bring Them”!) e il kraut dei Can (strano fino a un certo punto, perché l’influenza kraut sugli Spacemen 3 è enorme).
Procedono per stratificazioni dello stesso riff (“Rubber And South” ricorda quasi i Doors di “The End” per la concezione strutturale). Sembrano essere preda di dissonanze che invece si rivelano quasi sempre apparenti, perché dovute alla scelta del timbro degli strumenti e non ai rapporti tra le note. C’è l’impressione di trovarsi di fronte a una jam post-sbronza, di prima mattina, dopo una notte insonne ed alcolica, in cui, però, ad un ascolto attento, tutto si palesa perfettamente misurato e adeguato a intenzioni e risultato finale: i cori sghembi di “Sweet Girl I Love You” non sono quelli di musicisti ubriachi, ma le voci che Fasolo sente nella sua testa. Un party musicale, in cui, sebbene i brani siano tutti firmati da Fasolo, l’influenza di Gastaldello (sua la passionaccia per i Can, ma chi può dirci cosa ascoltava Fasolo a Berlino?) è forte. Eppure, nel diamante pazzo della raccolta, “No Mind In My Mind”, il potenziale singolone di un mondo migliore e sballato, pare intervenire un Kurt Cobain in versione hawaiana, per certi passaggi nella scrittura, talune inflessioni della voce, certe sonorità. Che effetto, poi, scoprire la scrittura matura di Fasolo già nell’inizio di “Always Been Together”, un brano che potrebbe benissimo essere su “The Midnight Room”! Ricca l’edizione: oltre ai 12 brani originali, tre versioni alternative; ma anche “Ana’s Make Up”, prezioso recupero dalla prima, rarissima uscita della band, la soundtrack di “Come tu mi vuoi”, corto di Claudio Cupellini, passato poi a Cinecittà; e tre inediti assoluti, se non mi sono perso qualcosa della loro discografia.
Esordio fortissimamente voluto, quello di “I Am You Are”: nonostante la band avesse firmato un mezzo contratto (citando papa Wojtila, “se sbalio mi corigerete”) con la Homesleep, il disco era fermo proprio per la sua assoluta eccentricità rispetto alla scena indie italiana del 2001. Ecco allora la decisione di autoprodursi e la nascita di Sillyboy Entertainment, che pubblica il disco.
Nessun problema, allora, per far uscire “Funny Creatures Lane”, nel 2002, in cui gli obbiettivi sono più a fuoco: “Ciò che volevo col secondo disco era tracciare una linea di demarcazione netta fra noi ed il resto del mondo”, racconta Fasolo. “Il nostro universo era assolutamente personale e come tale lo volevo dipingere. Lo volevo colossale, variopinto. Per “Funny Creatures Lane” volevo una produzione enorme con archi, cori, suoni incredibili e canzoni memorabili. Non era un problema il fatto che non ci fosse il becco di un quattrino”. Tutto si fa: il suono è più compatto, massiccio, distorto, in un ideale congiunzione tra le allucinazioni di Syd Barrett, nume tutelare di Fasolo (il nome della band viene dalla sua “Lucifer Sam”) e quelle di Roky Ericson, senza disdegnare bizzarri incroci. Ecco quindi che in “The Shammering Ghost”, da 1’45” in poi compare a intervalli regolari una esplicita citazione di “Man On The Moon” dei Rem (e se non è una citazione, è una coincidenza inconscia). Scompare dalla track list l’hawaiana “The Wax-Dolls Parade”, parente pigra di “No Mind In My Mind”, sostituita dagli oltre 8 minuti di “Verde Mostro”, memore dell’esempio di “Granchester Meadows” dei Pink Floyd di Roger Waters.
Da qui in poi sarà il decollo: verrà la benedizione di Kawabata Makoto e dei suoi Acid Mothers Temple, con tanto di tour insieme, e lo sdoganamento dei Jennifer nel circuito internazionale della psichedelia e del rock che conta. Ma questa è un’altra storia.

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