Una crescita notevolissima e repentina per una band a cui manca solo un singolone per fare la voce grossa in una scena soul-funk sempre più interessante
I The Groove sono cresciuti. E parecchio. Un salto in avanti notevole rispetto all'ancora acerbo ep di due anni fa. Con questo "Soul farm", primo lavoro sulla lunga distanza, portano in primo piano un lavoro di fino sulla costruzione del suono e sull'arrangiamento, che lascia alle spalle qualsiasi ingenuità per rivelare un asse ritmico preciso ed essenziale, chitarrista e tastierista con la giusta autorità, e una sezione fiati usata con garbo e originalità. A questo si aggiunge la carica della cantante Stefania Savi, che dà il suo meglio nei brani più potenti, come "My brain is a crazy monkey" e "Lion share", ma sa anche essere sensuale, come in "Like a peregrine".
Sarebbe sottinteso che in campo black (ma non solo) è praticamente impossibile produrre un sound personale e convincente senza una buona conoscenza delle fonti, e soprattutto la capacità di reinventarle, riscriverle, adattarle alle proprie istanze senza però snaturarlo: una cosa che la band piacentina ha capito perfettamente, e che viene portata a maturazione in questo primo album, che mescola elementi di funk anni Settanta con il soul di marca Daptone, riff presi di peso dal redivivo poliziottesco all'acid jazz degli Incognito, senza dimenticare i giganti come Sly & the Family Stone, Funkadelic e anche Impressions.
A livello di suono e di band non si può chiedere di più, e anche la composizione ha fatto passi da gigante nei due anni intercorsi dall'ep. Manca solo, pur tra tanti pezzi validi, il singolone, il ritornello che ti ricanti all'infinito. Ma arrivati a questo punto è davvero l'ultimo ostacolo, superato il quale i The Groove saranno pronti per fare la voce grossa in una scena soul-funk che sta portando a maturazione diverse formazioni davvero interessanti.
---
La recensione Soul Farm di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-10 00:00:00
COMMENTI