Il grigiore frustrante della provincia vestito di revivalismo new wave, leggera psichedelia notturna e reminiscenze brit-pop di area mancuniana.
Avevamo lasciato i Doormen nel 2013, impaludati dalle parti della “Premiata Fabbrica Di Oscurità Metropolitane” Editors & Interpol S.p.A, tanto che alla band ravennate piaceva, all’epoca, crogiolarsi dentro “nuvole nere” e “suicidi silenziosi”.
Una cupezza di fondo che, pur preservando il suo vigore originario, si abbandona a fugaci bagliori radiofonici e turbolenze psichedeliche per incarnare al meglio il grigiore frustrante di certa vita di provincia, dichiarato baricentro concettuale del disco. La versatilità atmosferica delle chitarre continua a costituire il cuore immaginifico del sound del quartetto romagnolo, a questo giro meno schiavo dei delay à la U2 e più affezionato a enfatiche distorsioni. Un suono, dunque, visibilmente più sporco e dilatato rispetto al passato, a tratti persino più ragionato – anche nella voce meno emulativa di Vins Baruzzi – nel tentativo di affrancarsi da ingombranti fantasmi e penalizzanti déjà-vu e, al contempo, di ammiccare a suoni più freschi e meno saccheggiati.
Ciononostante siamo ancora lontani anni luce dal traguardo di una conquistata personalità stilistica e se alcuni riferimenti sono stati provvidenzialmente ridimensionati altri rientrano subdolamente dalla porta di servizio: dai Chameleons più onirici (“Abstract dream” ) ai Simple Minds più ruvidi (“A long bridge between us”), passando dagli Psychedelic Furs del periodo d’oro (la suggestiva “Inside my orbit”), tutto riconduce a uno stadium rock plumbeo e disturbato che si divide tra convenzionali partiture commerciali (“Like a statue” su tutte), revivalismi post-punk e reminiscenze brit-pop di area mancuniana (la conclusiva “Higway Again”).
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La recensione Abstract [ra] di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-27 00:00:00
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