Albedo
Metropolis 2015 - New-Wave, Alternativo, Post-Rock

Metropolis

Gli Albedo riescono dove molte altre band italiane faticano: un rock classico, rotondo e completo, con testi che concorrono a definire l'opera complessiva.

Una di via di mezzo tra lo scenario desertico di un Ken Shiro perso in un futuro passato e un "De Rerum Natura" spaziale e cosmogonico. E poi "Metropolis" di Fritz Lang, che ha anche ispirato il titolo e l'intero nuovo disco degli Albedo.
Una fatica che vede dieci tracce che si collegano, come in un'unica narrazione delle dannazioni contemporanee ma che in realtà non sono mai del tutto concrete e tangibili. Da una parte sono proprio i testi che da casa, dai treni per andare al lavoro, dal racconto dei più vecchi e dai giochi dei bambini arrivano fino a galassie lontane, fino alle stelle. Una sorta di viaggio che forse proprio per questo muoversi verso l'infinito assomiglia molto a un viaggio fatto da fermi, magari distesi a letto o durante una passeggiata senza meta in una notte in cui la luna è particolarmente luminosa. Gli Albedo danno forza e coerenza a questa sensazione grazie a un rock quasi classico e a tappeti di chitarre pervasive che ripetono in loop gli accordi per dare proprio quel senso di alienazione, ma che nel frattempo vengono liberate in sonorità dreamy e, insieme alla parte più elettronica, riescono a dare esattamente questa sensazione di sfasamento impalpabile.

"Metropolis" è un disco compatto, e non solo per questa sorta di "Via Lattea" che collega le dieci tracce. Non si tratta di un concept album ma di un discorso lungo, dove la canzone precedente aggiunge senso alla successiva. Un disco per certi versi amaro, che sembra delineare una realtà dove si è spesso soli, dove gli amici sono pochi, dove i meccanismi sociali spingono a comportamenti coatti e privi di senso.
"Ma in questo cazzo di paese le cose non funzionano mai bene" ("Partenze"); "Sarò stato un buon fratello, un amico a cui parlare?" ("Tutte le strade"); "Perché sanguini? Da quelle croci su cui ti hanno dipinto per millenni / dispensavi i tuoi consigli a noi tuoi figli / a noi i tuoi figli persi / ora viviamo consapevoli ma soli" ("Higgs").
Questa impostazione lirica - da intendersi come una sorta di libretto "Metropolis" fatto di più atti - dona un'omogeneità che alla lunga, e forse anche sin dal primo ascolto, compatta molte tracce rendendo difficoltoso il parlarne singolarmente.

Gli Albedo sono più volte riusciti a dare vita a produzioni interessanti, soprattutto con il precedente album, "Lezioni di anatomia", e convincono definitivamente con questo ultimo "Metropolis". Qui riescono a quadrare il cerchio nello stesso terreno in cui invece molti gruppi italiani faticano. Non è una passeggiata infatti riuscire a fare un rock apparentemente poco macchinoso che suona rotondo e completo grazie anche ai testi che concorrono a definire l'opera complessiva. In questo gli Albedo invece si rivelano essere una delle band che lo fa in maniera migliore, senza pretestuose velleità. Pensandoci, è a questo che dovrebbe assomigliare il rock mainstream nostrano: arrangiamenti efficaci - magari leggermente più asciutti - con dei testi dove è possibile immedesimarsi e per questo perfetti per dei gran sing-along ai concerti.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.