Un buon disco ma al prossimo giro vorremmo esclamare "Wow!" su ogni singola nota.
Già artefici di un esordio sotto forma di ep ("Stoneselvatique"), "Yuma" rappresenta l'esordio sulla lunga distanza dei Bettie Blue, duo torinese composto da Bettie alla batteria e Blue alla voce e chitarra.
Ecco, se la vostra mente ha già visualizzato gli White Stripes non sarò certo io a smentire questa impressione. Perché della band guidata da Jack White, la coppia ricalca non solo la divisione dei ruoli ma finanche le sonorità. Fin troppo facile - potreste pensare - liquidare queste 8 tracce facendo il solito gioco dei rimandi, però questo ci pare essere un aspetto davvero innegabile fin dai primissimi ascolti. Anzi, di per sé le similitudini non hanno mai rappresentato un problema, essendo la storia del rock costellata di casi simili.
Nel caso specifico le osservazioni riguardano più che altro le canzoni, non sempre all'altezza delle aspettative. Sia chiaro: non pretendevamo un album in grado di competere con i mostri sacri, ma quel minimo di orgoglio patriottico ci impone di sperare sempre in qualcosa di più. Sotto questo punto di vista, purtroppo, i Bettie Blue non raggiungono il risultato auspicato, pur dimostrando una profonda conoscenza della materia.
Cosa manca quindi a questa mezz'ora scarsa di musica? Semplicemente i Bettie Blue pagano lo scotto di aver optato per una formula nuda&cruda che non sempre riescono a far bastare; la sensazione è che, a livello sonoro, manchi sempre qualcosa, come dei "vuoti" che inconsapevolmente non riescono a riempire. In realtà quando azzeccano il boogie de "Il mio personale mostro di Lochness" (anche se, a dirla tutta, avrebbe funzionato ancora meglio in una versione più short, senza alcuni fraseggi di chitarra) o lo stoner dell'iniziale "Un processo attento", non gli si può rimproverare quasi nulla. Piacciono anche "La persistenza della memoria" (non lontana da certi costrutti tipici dei Verdena) e le atmosfere soffuse di "No doubts", però di fronte a nessuno di questi episodi percepiamo quelle particolari vibrazioni che un disco di rock'n'roll dovrebbe regalarci di default.
Si tratta probabilmente di una questione legata a scelte produttive (nonostante dietro al mixer si sia seduto Omid Jazi), da ripensare nel momento in cui i due decideranno di rientrare in studio.
La base c'è, lo ribadiamo, ma al prossimo giro vorremmo esclamare "Wow!" su ogni singola nota.
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La recensione YUMA di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-28 00:00:00
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