L’anima è quella di chi, sulla strada, cerca e trova tutto ciò di cui ha bisogno: l’ispirazione, le facce, le storie da raccontare. Già, Silvano Staffolani possiede le stimmate del busker ed è fiero di poterle esibire. La sua musica, i suoi racconti sembrano sbucare dalla polvere di qualche itinerario messo giù senza troppa convinzione, perché l’importante è partire, non arrivare. Ed è per questa ragione che i racconti di “…Qualcuna giunga a destino” possono definirsi degni di un cantastorie. Che preferisce crogiolarsi tra le sicurezze delle favole (“La raganella”) o del mare (“La bandana del pescatore”), non disdegnando ironie assortite (“A spasso con il mio coccodrillo”) e riflessioni dolci/amare sulla vita (“Tranne te”, cover, piuttosto scarnificata, di “Only you” pezzo degli… ehm… Yazoo!).
Staffolani non ama la complessità: l’approccio in sala di registrazione è autarchico (suona tutti gli strumenti a sua disposizione), gli arrangiamenti essenziali (l’unico pezzo un po’ più elaborato è “L’estate”). Inevitabile che le canzoni in uscita dall’album (in buona parte raccolti attorno a chitarra acustica e organetto) risultino per forza di cose sobrie ma non prive di fascino. Sarà per una voce non sempre perfettamente intonata (un paradosso, vero), per la forza degli argomenti sviscerati (leggasi l’antimilitarista, e anche un po’ anticlericale, “Gloria e il fante”, con la complicità di Trilussa) che avvicinano il cantautore marchigiano, fatte salve le dovute proporzioni, a Fabrizio De Andrè o al primo Francesco Guccini. Il tutto al netto di qualche forzatura presente nei testi e di un paio di passaggi sin troppo soporiferi.
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