Certe cose in due si fanno meglio. Può apparire scontato dire che l’ultimo degli sbarbatelli demo arrivati al mio cospetto è super, se i due che lo hanno cantato e suonato si chiamano Superpartner. Formatisi appena nel giugno di quest’anno, auto-ben-prodotti, si presentano di bianco e nero vestiti, in coppia mista come nel migliore trend del momento sulla scia delle stelle e strisce di White Stripes e the Kills, passando per lo shoegazer dei Raveonettes fino a casa nostra coi romani Intellectuals. Eleggono l’inglese per le sei tracce del loro delicato Microfilm e scelgono di allegare i testi nella biografia, mossa che gli fa acquistare frecce al loro arco: dalla scrittura semplice e diretta, Francesco Lanferdini racconta storie memori del realismo anglosassone del dandy Jarvis e dei suoi Pulp e musica scenette di quotidiana ironia Belle&Sebastian aromatizzate dal sole della Puglia. Giorgia Libardi si presenta come un’acerba Dot Alisson con la sua freschezza pop ed è impregnata di fascino ambiguo alla Ladytron quando attacca un po’ svogliata filastrocche hi-tech a ritmo di tastiera. Le sei tracce del piccolo film fuggono via veloci e da se, non si lasciano afferrare facilmente da brave melodie ritrose e dense di malizia: “Your birthday” è un girotondo accelerato in compagnia degli Stereolab, canticchiando cristallini e scanzonati versi, sconfinanti quasi in una malinconia piacevole, che scende e sale sullo scivolo rosso delle emozioni e delle prime esperienze. Tutto sembra lievitare sul pelo dell’acqua, tra paura e infantile onnipotenza, occhiolini al lo-fi made in USA e agli Eighties in UK nell’impervia e ribelle “Torture me”, deciso attacco sonoro d’oscura tastiera new wave, guidato da un lirismo potente di spessore Cocteu Twins. Da qui in poi cresce il suono ed evolve la sperimentazione e siamo quasi alle ultime battute del Microfilm: l’enfasi s’espande e porta addosso il peso degli anni coi bassi rallentati di “Early down”, fino all’ultima “A days on Mars”, alienante sinfonia d’Air (in tutte le accezioni da quelli di Moonsafari all’Etere), e scopri che il biglietto pop del parco giochi vale pure una corsa siderale per un concerto retrofuturista su Marte. La minuta opera sparisce con la semplicità di un bicchier d’acqua e ti alzi dalla poltrona invasa dai popcorn, felice di aver intravisto scimmiette volanti, il caro dono della sintesi (sia lodato) e un’ affilata seduzione noir. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
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