Ballate folk-rock impreziosite da alcuni accenni di proto-psicadelia a tratti un po’ scontata. Suona all’incirca così questo primo lavoro degli Esangue( k).
Il gruppo è ancora piuttosto acerbo ed in cerca di una propria identità musicale. Combattuto da influenze musicali molto differenti tra loro, sembra quasi voler attuare una funambolica sintesi tra una loro anima rock ( Marlene Kuntz, Estra) ed una eminentemente folk-autoriale (Guccini, Nomadi ) con una strizzata d’occhio ad un certo prog-rock (Le Orme, ma anche certi Greateful Dead). La lacuna maggiore resta la stesura dei brani che risulta decisamente approssimativa e ancor più il tentativo, a tratti davvero spericolato, di mettere in metrica periodi lunghissimi, togliendo dinamicità ed impatto alle gradevoli cavalcate folk disegnate da basso, batteria e chitarre.
Tuttavia la sensazione di fondo lascia presagire che il gruppo abbia davvero ampi margini di miglioramento e che, una volta raggiunta una certa maturità artistica e compositiva, queste piccole lacune si possano tranquillamente sorpassare. La voce di Dani è davvero interessante, quando trova le tonalità in cui muoversi sa essere coinvolgente e profonda. Basso e batteria fanno ampliamente il loro mestiere e le chitarre sanno ritagliarsi dei piacevoli spazi psichedelici anche all’interno delle strutture semplici e piuttosto melodiche dei brani. Il terzetto dimostra di avere un ottimo senso del groove, alternando tempi in levare a cavalcate sui 4/4, dando vita a brani che, per quanto semplici, non rasentano mai la banalità assoluta. La nota di demerito va piuttosto ai testi e alla loro stesura, soprattutto quando si tenta di affrontare temi sociali ed impegnati ("Guerra" ) o quando si cerca di sfiorare il tema intimista della morte e del dolore ("Ballata dell’eternità"). Questo avviene perché la tradizione cantautoriale italiana è piuttosto densa di autori straordinari (De Andrè, Guccini, De Gregori, Lolli ) che a loro tempo hanno saputo affrontare suddetti temi con incredibile intensità. Addentrarsi dunque in tali territori minati richiede una preparazione letterale e una sensibilità che i nostri, non posseggono (ancora ). Ben diverso è il discorso sulle ultime 3 tracce dell’ ep, in cui l’anima rock si fa sentire maggiormente e i risultati sono davvero incoraggianti. In particolare “Amore dadaista”, a mio avviso il più bel brano del disco, lascia intuire che le potenzialità ed il talento creativo ci sono, una volta scelto il tipo di sentiero da intraprendere, magari abbandonando i cliché del folk d’autore per addentrarsi in un percorso più personale.
---
La recensione Conversazione al freddo più o meno razionale (ep) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-12-07 00:00:00
COMMENTI