Generalmente le cose non vanno mai nella direzione ideale, neppure quando sembrano andarci. Sarà quello strato sottile di atavica tristezza che ci ricopre costantemente come brina, che come una lente deformante ci fa guardare la vita con contorni di fumante sconfitta, anche quando manca forse soltanto una virgola alla perfezione. Ci sono dischi che si insinuano in quello strato rendendolo variabile nello spessore e nelle sfumature che produce, “Imprinting” è uno di quelli: shoegaze dilatato e profondo fatto di continue fitte al cuore, lente trasformante che fa apparire l’inverno coi suoi labili amori non corrisposti.
Le chitarre di “Etere” sembrano esiguo soffio vitale che ci tiene in piedi mentre il resto cade, in “Past” ci attacchiamo alla batteria per non scivolare via, tra panorami senza colori primari né profili netti, assorbiti dalle onde, ingoiati dalla marcia onirica che ogni pezzo produce. Scorre “Traffic Whispering” e, mentre tutto pare andare per il verso giusto, noi ci fermiamo attendendo l’errore, e crescono i riverberi, e s’allacciano tra loro sogni mai finiti, e un broncio psichedelico monta sul viso, sempre.
Su tutte brilla “Daydream”, otto minuti che creano magia, nenia dreamy che cresce nel post rock per diventare adulta presa di coscienza, e cedo infine, con “Sunburst”, alla bellezza di questo esordio che porta con sé un evidente background (Slowdive su tutti) ma davvero non importa: e quando tutto sembra andare storto, forse è allora che un disco può fare la differenza, non rendendo le cose migliori ma scoprendo la meraviglia, celata da inverni, in quello strato sottile.
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