Andrea Chimenti
YURI 2015 - Cantautoriale, Alternativo, Acustico

YURI
18/05/2015 - 09:00 Scritto da Sara Scheggia

Un disco che nasce da un romanzo. Canzoni pop dal fascino vintage, con arrangiamenti moderni e curati.

Un'adolescenza disperata e un futuro che non c'è: il romanzo e il nuovo disco di Andrea Chimenti parlano di questo. Il romanzo uscì l'anno scorso per i tipi di Zona e queste tracce che ci ritroviamo ora in mano seguono lo stesso filo narrativo. Protagonista è Yuri, un eroe dei nostri tempi, depredato del suo passato e che ispira una tenerezza infinita. Yuri non ha ricordi, la mattina ha già dimenticato il giorno precedente e si aggrappa a un unico oggetto, che è la sua memoria: un libro misterioso.

Un'opera che sulla carta si preannuncia ambiziosa per l'artista di origini emiliane, ma toscano d'adozione, leader negli anni '80 di una band importante per la new wave italiana, i Moda (che non sono, vivaddio, i Modà di oggi. Lo scrivo anche se è scontato: non si sa mai). Chimenti è un cantautore raffinato, capace di scrivere perle pop e di sperimentare brani per palati decisamente più difficili. Stavolta, tra l'altro, la produzione l'ha affidata a due componenti dei promettenti e bravi Sycamore Age: Francesco Chimenti e Davide Andreoni. E sì, Francesco è il figlio di Andrea e pare che i due si siano sintonizzati bene fecendo innescare  una certa complicità. Il disco, da quel che sentiamo, non può che averne giovato.

"Yuri" si apre con “Il canto di Aede”, in cui si sentono già toni malinconici, quasi funebri: una città che si sgretola, la mitologia che si intreccia con l'attualità dei “mostri d'Europa”, un tappeto incessante di sottofondo, elettronico e con varie percussioni e archi, che si consuma verso un carosello inceppato. Qualcosa s'è rotto: è una canzone scritta sulla scia della chiusura dell'Orchestra sinfonica nazionale greca e chi vuole può leggerci anche la metafora della situazione economica attuale in cui siamo tutti dentro fino al collo. “Mi dispiace” è un pezzo denso e impegnativo, costruito secondo schemi più usuali a chi, anche melodicamente, gradisce quel filone di bel cantautorato che vede tra gli esponenti gente come Paolo Benvegnù o Mauro Ermanno Giovanardi o Marco Parente. E lo stesso si può dire del ritmo di “Il tempo di un battito”.
A un certo punto si fa strada un tocco vintage nella traccia che dà il nome al disco, costruita su un pizzicato niente male e coretti che stemperano la gravità degli archi. “A sweet fall”, in inglese, è forse l'unico pezzo in cui c'è della batteria, negli altri pezzi assente o sostituita da percussioni di altro tipo. Qui qualcuno potrebbe leggerci un po' di David Bowie, o di un Morgan particolarmente ispirato. Ci sono momenti di spoken word (“Yuri cap 5”), passaggi strumentali (“Aurora”) e brani teatrali e quasi rinascimentali nei suoni, come “Torbidi giocolieri”, una canzone che se fosse vivo, forse, avrebbe scritto un moderno Fabrizio De André. “Non accenderti” è un canto alla luna, semplice nella sua struttura ma tremendo nel lanciare un grido d'aiuto, scarno ma accorato. Ci si riprende con il brano di chiusura, “Ancora una volta”, che sembra lanciare sprazzi di speranza nei suoi suoni maggiori. E che chiude, come se fossimo proprio al calare del sipario a teatro, un lavoro sicuramente complesso e di un certo spessore artistico.

Quello di Chimenti è un disco che si apprezza dopo parecchi ascolti, che va compreso nei suoi arrangiamenti curatissimi e in certi punti davvero brillanti. Non mancano passaggi forse superflui, che rallentano un po' la marcia (e l'attenzione) dell'ascoltatore. Ma quelli belli sono assai potenti e ci segnalano un artista ormai a tutto tondo, che passa dal cinema alla letteratura e torna poi alla musica, senza sbavature e senza essere mai a disagio.

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