È dai dettagli che si comprende il disegno generale. Nel caso di Paolo For Lee (cioè Paolo, ehm, Forlì) il dettaglio rivelatore è dato dalla sua pagina Facebook: bianco e nero ovunque, nei video come nelle foto, in una dichiarazione di estetica che non è solo formale ma è anche sostanziale. E che non può non trovare rimpallo e complicità nelle canzoni di “Minneapolis”, un album scuro e diffidente come uno sguardo annullato dalla disillusione. Sono ballate assassine, fumo grigio e note ostili, una voce sgarbata eppure profonda, che vive di sussurri, colpi di tosse e melodie lievi. Gli arrangiamenti sono ridotti al minimo indispensabile: chitarra, qualche accenno di pianoforte e una costruzione circolare e senza picchi, come se niente dovesse distrarre l’ascoltatore da ciò che Paolo For Lee ha da raccontare. “Bed Creatures I Know” è un gioiellino di pop dimesso e notturno, una versione scheletrica degli Eels, periodo “Electro-Shock Blues”. “Hidden in a Furnace” è un mormorio costante accompagnato da scarni accordi in minore di chitarra acustica. “It’s All Over” è l’addio perfetto, un saluto che riassume in cinque minuti l’estetica noir di un progetto che, assieme a Those Lone Vamps, ambisce a tracciare una via in direzione di un folk più oscuro e, magari, più vero.
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