Suoni, parole e visioni di un’indie-America accartocciata sotto un magmatico cielo rosso che corteggia da lontano le corvine nuvole anglosassoni.
Che tu sia bambino, adolescente o centenario barbuto ti porterai per sempre dietro lo stesso sguardo, fino alla fine dei giorni. E le tue foto staranno lì a dimostrarlo. Così è per i Black Eyed Dog che, strada facendo, cambiano pelle e sangue, sì, ma non lo sguardo, costantemente carico di quella luce violacea che sa tanto di blues, sotterraneo e malato quanto volete, ma che pur sempre blues è.
“Kill me twice”, quarto album per Fabio Parrinello & Co – che ne segna peraltro il ritorno alla corte della Ghost Records dopo sei lunghi anni – non solo, dunque, preserva gli stessi occhi dei suoi predecessori ma, a questo giro, ne dilata oltremodo le pupille fino a catturare in un colpo solo nuove cromature sonore rimaste fino ad oggi al di fuori del loro campo visivo: al blues, o meglio, alla contorta idea di folk-blues covata dal terzetto lombardo-siciliano, si affiancano, dunque, più atmosferiche aperture new wave e rifiniture pop di pregevole fattura – affidate agli intriganti intrecci vocali di Parrinello e Anna Balestrieri (“M.J.R.” su tutte) – che la sapiente produzione artistica del grande Hugo Race convoglia all’interno di un microcosmo a bassa fedeltà dal respiro internazionale.
Del resto i dieci brani del lotto si presentano da soli nello scenografare le patologie di una decadente quotidianità di provincia (anche virtuale) col piglio di un songwriting crepuscolare ammorbato dalle tossine soniche di una civiltà in disfacimento (quella occidentale): insospettabili voglie radiofoniche affratellano l’opener “Heartbreaker”, che orbita cupamente dalle parti dei The Church, e l’anoressica e pulsante “M.J.R.”, che razzola nel cortile di Lou Reed, “Second hand mother” dispensa una torbida new wave tardo-depechemodiana che fa pendant con quella più nevrotica di “1000 dark days”; e se “Miss F#%kbook” riverbera i lividi elettrici dei The Kills, “Widow man” indietreggia invece verso gli ardori blues-rock delle prime produzioni, mentre il fumoso intimismo metropolitano di “Sicily/New Orleans” anticipa autorevolmente il torvo magnetismo à la Mark Lanegan della splendida “Blind dive”.
Panoramico senza risultare ambizioso, umbratile ma per nulla angosciante (anzi), “Kill me twice”, lungi dal sorpassare gli album precedenti pensa bene di tenerseli buoni da una parte, in quel suo essere musicalmente e concettualmente affezionato a un’indie-America accartocciata sotto un cielo rosso che corteggia da lontano le corvine nuvole anglosassoni.
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La recensione Kill Me Twice di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-05-27 09:00:00
COMMENTI (2)
bomba
Album enorme!!! Complimenti.