Un lavoro di tempi e contrattempi, un racconto esistenzialista, con la vertigine della fine sempre dietro l'angolo
“Meglio così” è una sorta di manifesto. Questi sono gli Iceberg adesso: post-rock, post-punk, “post-trauma” post-tornado, post-tutto.
Il profilo Facebook della band alla voce “Città natale” riporta: “La provincia”. Essere o sentirsi dopo e fuori. L’io si dà del tu e si riversa in un plurale alla ricerca di rassicurazioni (Scrivi come hai fatto ieri con le cose che ci mancano / tutte le promesse e i propositi che ci guidano / e saremo l’alba e le voci per strada / l’universo / questa stanza - "Ogni giorno un po’"), cresce come una bolla, trasparente e teso, leggero e fragilissimo, precario nell’aria grigia della pianura padana. Acqua e sapone, fango e foglie secche, neve e nebbia. Temporale (che cosa importa non passerà / arriva il temporale ma passerà - "Vienna") e tuoni (e saremo i tuoni e la neve in pianura - "Ogni giorno un po’") sono rimasti dopo “Caro Tornado”, ma sono stati addomesticati. La voce resta avida di urla cantate, ma compatta e controllata: dall’esterno è tutto pieno, le incrinature sono sottilissime, l’equilibrio è preservato.
C’è una consapevolezza maggiore che ha a che vedere con la direzione che il gruppo intende dare alla propria creatura. Una scrittura musicale e verbale matura, e in lingua madre. Non è stata vana la lezione dei Fine Before You Came.
Distorsioni, groove sostenuto, che non lascia spazio a riflessioni (sono state tutte fatte prima), muscoli tesi e voglia di stare sul palco. I pezzi sono spari, con pause nel mezzo; punti giganteschi in un discorso cantato tutto in maiuscolo. Questo è un lavoro fatto di tempi e contrattempi; di “saremo”, “siamo”, “sono”. È un racconto esistenzialista, la vertigine della fine è sempre dietro l’angolo (Ma ci sono cose che quando le metti a posto non le ritrovi mai / Puoi cercarle per ore se le metti da parte non le ritrovi), ma c’è anche la certezza di essersi costruiti un’identità, di poter sempre ritornare a se stessi.
C’è l’imperfetto dei ricordi, un tempo che non finisce. C'è un futuro che si perde già nel presente (eccoci qui sempre gli stessi finché non muoio - "Vienna"). Ma è il futuro anteriore il tempo di “Meglio così” (Non chiediamoci più come sarebbe stato non pensiamoci più a come sarebbe stato – "Teoria").
Il discorso si impenna sul riff di chitarra in "Autunno": una protesta diretta al cielo (non dirmi che tutto ci piove addosso questo non è il momento per l’autunno). In "Teoria" la chitarra distorta si strugge, ed è un controcanto, come una voce che s’incrina perché sa che sta per dire qualcosa di importante, e ci impiega un po’ di più a chiudere il cerchio. Con un titolo che è un sigillo: “Meglio così”. Post.
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La recensione Meglio così di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-10-19 00:00:00
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