Caravanserai
Feral 2015 - Sperimentale, Rock, Indie

Feral

Tra AOR e brit pop, un disco piacevole, ma senza grinta e ritornelli memorabili.

Da una band che si chiama Caravanserai e che sfoggia in copertina un uccello del Paradiso di fattezze stranamente atzeche, uno si aspetta come minimo un bel gruppo di acid-latin-funk sulla scia di Santana. Nulla di tutto questo. Non è che il primo spiazzamento indotto da questo album.
Al primo ascolto paiono dominare le sonorità leccate dell’AOR d’annata (Toto, Foreigner, Asia), ma senza mai i momenti grintosi e gli hook vincenti sfornati dai suddetti. Questa è senz’altro una caratteristica del disco. Ma, ascolta che ti riascolta, emergono tanti altri spunti che giustificano in certo qual modo, sebbene vago, l’etichetta di “sperimentale” che la band ha scelto per sé. E allora ecco un cantato che spesso si rivela discendente della lezione di Morrissey (evidente in “Arabesque”), ma a volte sfodera la possanza di un Eddie Vedder. Ecco un’impronta brit pop evidente nella scrittura dei pezzi (non negli arrangiamenti, come detto). E anche un uso delle tastiere che viene giù dritto dall’elettronica anni '90. Nel complesso, allora, il disco prende più la forma concettuale di un lavoro intimista dei Guillemots, senza però la loro forza lirica ed evocativa.
Un lavoro che si mostra più complesso di quello che sembra, ma soffre della mancanza del ritornello vincente e di un’eccessiva levigatezza, tanto più grave se si pensa che il concept del disco è il confine labile tra uomo e animale. Vedremo alle prossime puntate.

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