Interessante progetto quello dei Di’Aul, quartetto originario di Pavia, che con "Garden of Exile" fanno un passo importante verso l’affermazione. Nove tracce completamente autoprodotte danno risalto a una scelta fatta in fase di missaggio: l’analogico batte il digitale, il suono deve essere ruvido, sporco, polveroso, vero. Un concetto che si sposa benissimo con la loro musica, una sintesi del metal classico unito allo sludge, dove riff pesanti di stampo doom trascinano una linea ritmica densa e vigorosa, il tutto unito ad una voce molto vicina al growl. Andatura lenta quindi, ogni passo fatto a cavallo del minutaggio prende sempre più peso; “Till 24” ha il compito di aprire l’album, e lo fa in modo da fugare ogni dubbio possibile: densità musicale e ruvidità del suono, una condotta che prende sempre più corpo all’interno del disco, “Mistery Doom” o “Funeral Blood” ad esempio sono nomen omen, i titoli parlano da sé.
Sicuramente scegliere l’autoproduzione e una filosofia di missaggio vicina all’analogico è motivo di conflittualità d’opinione, ma nel complesso (e soprattutto nel contesto) risultano essere un valore aggiunto per un genere che a mio avviso non può non essere suonato in questo modo. Una scelta quindi che premia il loro lavoro, alza l’asticella delle loro (e delle nostre) aspettative, ma soprattutto li spinge a tuffarsi con consapevolezza e determinazione nelle difficili acque del mercato discografico.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.