Un caos consapevole e perfettamente organizzato, fra cantautorato e psichedelia.
Esordisco con un pensiero personale e in quanto tale opinabilissimo, ma ho una buona ragione per esprimerlo: il pensiero è che il nome Filarmonica eccetera fa subito boccia di vino scadente e musica etno-balkan-equosolidale, mentre la ragione è rassicurare quelli che all'idea di un ensemble di bonghisti che coltivano erba leggendo Garcia Marquez vengono colti da un attacco letale di orticaria: nonostante il nome infatti, la Filarmonica non fa quel genere di musica, non qui almeno.
In compenso, fa un sacco di altri generi, tanto che potremmo parlare di melting-pot - e lo faremo, tanto ormai i fantasmi del fricchettonismo che tale termine evoca se pronunciato in ambito musicale li abbiamo già esorcizzati – e perfino di progressive. Altra parola spaventosa, è vero, ma di nuovo vi invito a mantenere la calma: se prog è, è molto sui generis, nessuna suite sugli hobbit da 47 minuti per clavicembalo e ciaramella, “solo” 16 canzoni che stranamente non sembrano così tante – anzi, si ascoltano tutte di fila senza causare stanchezza, probabilmente perché riescono a creare quel senso di attesa suggerito dal titolo (preso da una raccolta di poesie di Natan Zach).
Un'atmosfera sospesa che pervade tutto l'album e che ti fa stare lì ad ascoltare attento, proprio come quando senti (ac)cadere qualcosa e non capisci cos'è, è cantautorato? Psichedelia? Alt-pop? Viene dagli anni settanta o dai novanta? Soprattutto, questo insieme di suoni indistinti che non capisci da dove e da quando arrivano, questo sentimento di attesa, significheranno catastrofica confusione o fostoso caos organizzato? La seconda, direi: un caos di ascolti e suoni in bilico che non cadono mai, perché a reggerli ci sono sapienza, cuore, ricerca e buona produzione.
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La recensione Sento cadere qualcosa di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-06-01 00:00:00
COMMENTI (1)
Un ascolto che rimanda inevitabilmente ad Alessandro fiori(con i mariposa o solista,indifferentemente), nonchè ad un (colpevolmente) meno conosciuto Riccardo Lolli, con quella stralunata e sghemba attitudine ad una sperimentazione(psichedelia?) che non sconfina mai nell'autocompiacimento, quasi memori della lezione di una laurie anderson piu pop e meglio predisposta verso l'ascoltatore(home of the brave). Decisamente un passo avanti rispetto al precedente album, dove un folk da osteria lasciava indifferenti e(nel mio caso) anche un po indispettiti per l'ingenuita della proposta.
In questo caso, si arriva piacevolmente fino in fondo senza troppi sussulti, che non è necessariamente una cosa negativa, anzi; i pezzi, pur diversi tra loro, mantengono il medesimo filo conduttore arrivando ,a volte, vicini a sorprendere(il sax e il trombone nella bella "chi sceglie cosa") ma quasi mai a deludere. Dovranno obbligatoriamente continuare ad evolversi in qualcosa di diverso e piu compiuto, ma per adesso, direi che sono sulla buona strada, e questa dimensione intimista e surreale meglio si addice a dei giovani che guardano avanti invece di scimmiottare il passato.
Per me, un deciso balzo in avanti.