"Don't stop dreaming" è un album difficile da collocare in un preciso frammento spazio temporale. A tratti suona folk ("I wanna hold your hands", "Mary"), per poi assumere forme soul liquide, quasi incorporee ("Where did you go", "The king of all winds"), fino ad inoltrarsi in momenti vagamente eighties ("Neda"). Il sound si colora poi di echi alla Lucio Dalla ("Life show"), virando improvvisamente in atmosfere più sostenute da musica popolare ("Just one kiss"). Le linee vocali sono calde ed avvolgenti, come quelle tipiche della musica soul, tratto che ritroviamo anche quando il nostro si cimenta nella sua lingua madre con "Io re di me", brano dall'incedere languido e leggero.
Il punto focale del disco è concentrato nella parte testuale, come spiega Paolo Preite, che dà molta importanza a tale aspetto, anche se non sempre questo emerge come il cantautore vorrebbe. Se infatti la scelta del cantato ricade sull'inglese, non per tutti sarà facile concentrarsi sui concetti dei vari brani mentre, d'altro canto, sicuramente questa decisione permette al prodotto di assumere un'atmosfera più internazionale. Il disco in definitiva scorre senza troppi intoppi, liscio fino alla fine, calcando fin troppo però un andamento lineare, senza spingersi mai fino in fondo, senza osare davvero e questo è il limite più grande di "Don't stop dreaming", che non riesce a comunicare tutto quello che vorrebbe. Aspettiamo ulteriori passi.
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