Tra galassie elettroniche, reminiscenze new wave e strabilianti giochi di luce synthpop.
Viaggiamo con Lilia sul pianeta Clepsydra, con un suggestivo concept album che si muove con agilità e trame evocative tra dark dall’ossatura elettronica, synthpop a proprio agio nell’ombra, tessiture dreamy e un piglio minimale eppure ben strutturato. L’apertura mi porta subito alla mente “Mask” dei Bauhaus, certo più leggera, sintetica e impalpabile, “The Game” è un palese, riuscitissimo omaggio ai Cure e alla loro “A Forest”, “Moyen Âge” risplende di memorie passate e nostalgia dei Dead Can Dance coi suoi vocalizzi sapidi di malinconia e confidenze crepuscolari.
Tra galassie lontane e strabilianti giochi di luce nel profondo dell’universo, mi chiedo se il Deckard citato nella terza traccia sia proprio lui, il cacciatore di androidi, e se il ritornello di “Empress Moonchild” (interpretata dalla giovanissima Luna D’Intino) c’entri qualcosa con la filastrocca numerica di Roy Batty: suggestioni, come dicevo, e sono fondamentali perché ascoltando questo disco ci si sposta davvero in dimensioni e luoghi distanti, in futuri che forse sono soltanto un altro presente, in posti dove piove sempre ma le gocce sono talmente piccole da non percepirle affatto.
Le percussioni elettroniche in prima linea in “Magnetic Storms” sono l’avanguardia che cela e difende un cuore synthwave, “Anthem” è il movimento delle macchine verso il pop, il pezzo più diretto e quasi ti chiederei di ballare, se ne fossi un poco capace.
Il terzo album di Lilia è una promessa che cuce insieme sogni, fantascienza, giochi di luce, suggestioni, legati stretti da una voce che ha la dolcezza di un sussurro amoroso e la forza, costante e decisa, delle onde marine, dell’acqua che scintilla sui sassi bruni, delle gocce di pioggia che sono in fondo il mezzo più rapido per cambiare stagione, girare pagina, viaggiare lontano. Lontanissimo.
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La recensione Clepsydra I di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-07-15 00:00:00
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