"Playground": l’apparente paradosso dei Mardi Gras
Il terzo e nuovo album dei Mardi Gras è “Playground”, forse il loro lavoro più consapevole e maturo; i quattordici brani in questione, infatti, sono molto impegnati sia musicalmente sia testualmente. Ma questo disco ricorda tutto tranne che un’area di svago, e risulta curiosa quindi la scelta del titolo, ovvero “parco giochi”.
L’inizio non poteva essere migliore con “I Say Yes”, un pezzo pieno di speranza e cantato da Claudia Loddo con una commozione che fa venire i brividi, ma in esso di sicuro non c’è leggerezza; la spensieratezza tipica dell’infanzia e del divertimento non è l’elemento che l’ha ispirato, ma, al contrario, la consapevolezza della difficoltà di vivere.
Per non parlare di “Another Place” che racconta di lettere scritte all’amato al fronte, o di “Are We Ready For The Sun” che nomina gli orrori del mondo, tra cui l’inedia che colpisce i bambini, suggerendo un possibile cambiamento.
Struggente e poetico è il binomio di soli voce e piano in “Before I Die”, mentre l’ultimo pezzo, “Kiss The Night”, tratta il difficile argomento della violenza sulle donne, dando voce sia alla vittima sia al carnefice.
Non bisogna dimenticare, poi, che ci sono vari riferimenti alla letteratura: “Road Song”, ad esempio, si ispira al romanzo dello scrittore americano John Fante, “Road To Los Angeles”, e vede la partecipazione di Mundy, cantautore irlandese.
Insomma, perché “Playground”? Mentre ci si pone la legittima domanda, viene in mente che i Mardi Gras prendono il loro nome dal carnevale di New Orleans, ma anche dall’ultimo album in studio dei Creedence Clearwater Revival. Due allusioni, quindi: una giocosa e una seria, ma che nonostante la loro diversità si sovrappongono.
Ed è questo il grande merito dei Mardi Gras: sono riusciti a unire e far convivere elementi eterogenei come puro rock, folk e pop, dando vita a belle canzoni. Perciò il “parco giochi” dei Mardi Gras non è poi così fuori luogo: non è, infatti, proprio dai luoghi dell’infanzia che nascono tutte le difficoltà e i mali della vita?
“Playground”, di conseguenza, può stare ad indicare la commistione e il gioco con diversi elementi musicali e testuali, ma anche il luogo dove inizia la fine. O forse proprio quest'ambiguità del titolo può permettere all’ascoltatore di soffermarsi e riflettere sul messaggio che l'intero album vuole trasmettere.
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La recensione Playground di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-06-16 00:00:00
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