Il momento era di quelli importanti: dopo un album capolavoro come "“Sarebbe bello non lasciarsi mai...” e la parentesi elettronica di "Non vengo più mamma", Dimartino era atteso alla prova più difficile, quella della conferma. Non è chiaro se questa prova sia stata pienamente superata, ma il pezzo da cui vale la pena iniziare è “L’isola che c’è”, che è poi il punto di partenza dell’album e dello stesso Dimartino: un paese all’interno di un’isola, uno spazio piccolo all’interno di qualcosa circondato dal mare. Un doppio isolamento, che mette spalle al muro tra la grazia o il tedio a morte del vivere in paese e dà il via al meccanismo di fuga e ritorno che attraversa tutto il disco.
Tutti i brani di “Un paese ci vuole”, quarto lavoro di Dimartino, raccontano di persone che se ne vanno, provano a scappare, non riescono a non tornare: da “Niente da dichiarare” a “La vita nuova”, passando per “Una storia del mare” (scritta e cantata con Francesco Bianconi dei Baustelle), le canzoni migliori del disco ruotano tutte intorno a questo tema. Altri pezzi da mettere in evidenza sono “Stati di grazia” e “Le Montagne”, segnati da un gusto pop più aperto e che potrebbero essere il punto di incontro tra il Dimartino conosciuto fin qui e quello che sarà.
Perché se da un lato rimane perfettamente riconoscibile, da un altro sembra che Dimartino si sia allontanato da una dimensione band, privilegiando quella del cantautore classico. Il cambio è testimoniato dalla maggiore importanza data al piano: negli altri album era una presenza destabilizzante, qui diventa uno dei pilastri. E nella prima metà finisce per essere quasi ingombrante, rendendo i pezzi troppi simili e allontanandoli dalla grande varietà che caratterizzava i vecchi lavori. L’impressione di ripetitività non passa con gli ascolti, lasciando la convinzione che scelte differenti di scaletta avrebbero aiutato i pezzi a decollare. Perché i brani ci sono, eccome.
La sensazione è che si tratti di un disco di transizione, per mettere a fuoco il percorso lungo il quale muoversi nei prossimi anni, nella speranza di poter superare anche i livelli (altissimi) di “Sarebbe bello non lasciarsi mai...”. Un album di passaggio che contiene comunque ottimi brani, come quelli citati in apertura. Perché le capacità di Dimartino non sono certo in discussione.
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