Disco sorprendentemente sublime e naturale in cui la convergenza degli opposti trova la sua realizzazione pratica.
"Wolf" o "Flow"? Nella convergenza degli opposti c’è l’essenza della vita, nel paesaggio naturale che si riflette nello specchio d’acqua di un lago di montagna, su cui scorrono le nuvole in continuo movimento, dove si specchia il sole che sorge o tramonta troppo presto.
Il disco degli Amycanbe abbandona per poco meno di un’ora la quotidianità, è un giorno di ferie o di vacanza per sfuggire al movimento caotico della città. È strano pensare che l’elogio della naturalità e la contemplazione della vita passi attraverso suoni elettronici e artificiali. È la convergenza degli opposti di cui sopra.
L’ambiguità del titolo, prima di tutto, come primo approccio con il disco: da una parte il portamento altero del lupo ("wolf"), la sua riservatezza e il suo spirito di branco, che potrebbe corrispondere alla realizzazione pratica o messa in musica; dall’altra lo scorrere continuo ("flow"), che sia di un corso d’acqua, del vento o di sensazioni poco importa, perché è l’idea del movimento quello che conta.
Gli Amycanbe hanno abituato, e già è stato detto mille volte, a suoni dal sapore internazionale. E allora in questo ultimo lavoro si potrebbe scorgere un paesaggio nordeuropeo, anglosassone o scandinavo, luoghi meravigliosi riservati solo a pochi, se è vero che il suono riproduce esperienze e sensazioni, intese nella completezza dei cinque sensi. E allora si sente l’odore della natura, che arriva a sfiorare le narici attraverso la percezione sonora di un dream-pop pulito e coerente in tutto il disco; poi ci si china sull’erba per toccare la rugiada ancora fresca o si corre assaporando il vento, da “I pay” fino a “Wolves”, brani in cui il ritmo sale e la voce delicata ed eterea di Francesca Amati conduce verso angoli inesplorati, ed è la riscoperta romantica della naturalità. Solo alla fine, stanchi, ci si ferma a contemplare la valle circondata da montagne innevate, col suo specchio d’acqua semighiacciato, e ci si stupisce del sublime.
Insomma è un disco che riporta a un’innata naturalità, risvegliando sensazioni troppo spesso trascurate, magico e così reale, sorprendentemente sublime, appunto.
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La recensione Wolf di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-25 09:00:00
COMMENTI (1)
Wolves è da pelle d'oca.. la voce ogni tanto mi ricorda quella di Julia Stone. Ottimo lavoro!