Probabilmente altri avrebbero tirato fuori l’etichetta ‘emo’, invece i quattro Deh sono abbastanza intelligenti da definirsi gruppo ‘indie-noise’, centrando così in pieno la definizione del loro suono e del loro atteggiamento nella scrittura e nell’esecuzione dei pezzi. In questo promo - senza titolo né copertina - a recitare la parte del leone sono infatti le sferraglianti chitarre, impegnate, su una base ritmica sempre precisa e quadrata, a cercare nuove strade in un panorama sonoro che sta a metà tra l’indie più melodico e le sonorità alla Touch&Go. Niente di rivoluzionario, certo, ma tanto basta a situare la band sicuramente al di sopra della media quanto ad intraprendenza e voglia di fare.
A differenza di molti loro colleghi che si buttano sul grunge alla Vanillina e dormono su tali allori, i quattro partono sì da punti di riferimento più che solidi, ma cercano di arrivare a sviluppi che, se non sono imprevedibili, certo si lasciano apprezzare per la piacevolezza delle soluzioni, soprattutto ritmiche. I primi secondi di “*” potrebbero ingannare e farci incasellare i Deh nel multiforme mondo del cool indie-rock all’italiana. Invece, dopo qualche minuto di furioso ‘quattroquarti’ con voce urlata (non magnifica ma, per fortuna, non impegnata a strozzarsi nel vano tentativo di suonare rincoglionita o cobaniana), entrano degli stacchi imprevisti che ci fanno notare quanto già siano già a punto, nonostante la band abbia pochi mesi di vita alle spalle, certi meccanismi negli intrecci chitarristici, che passano con disinvoltura dal riff sincopato alla pennata piena all’arpeggio.
L’alternanza di strofe ai confini col pop e di rifferama vario ed eventuale è la chiave di volta dell’intero lavoro (molto ben registrato): con “Down”, dotata di un cantato un po’ ‘epico’ che non ci ha convinto fino in fondo e di notevoli scarti ritmici pari e dispari, e “Primo Stralcio”, forse un po’ troppo statica ma sviluppata in maniera tanto lineare da farci dimenticare qualche sbavatura vocale di troppo. L’autoindulgenza che porta a fare durare troppo i pezzi affiora in “Portobello”, dotata di un’energia invidiabile e di riff noise notevoli ma troppo essenziale, ci pare, per sopravvivere oltre il terzo minuto, mentre “Dafne” chiude la scaletta in bellezza, con quello che è forse l’intreccio strumentale più riuscito in assoluto, una mescolanza compattissima di chitarre basso e batteria che non arriva alla perfezione poiché anche in questo caso ci pare che il cantato sia migliorabile (basterebbe un po’ di melodia in mezzo alle urla).
Insomma, un demo non innovativo, ma suonato e concepito con una notevole verve e con idee molto chiare, che lascia soltanto ben sperare per il futuro di questa formazione, per il momento buona e in futuro ottima se saprà osare ancora di più.
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La recensione promo ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-01-05 00:00:00
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