Che nell’odierno panorama indie (che per me significa essenzialmente una cosa soltanto: chi si fa i caxxi propri, incurante delle pose e delle mode) i Flying Vaginas fossero tra le realtà più interessanti, era cosa già nota dal debutto del 2014, “And That's Why We Can't Have Nice Things” (già ottimamente recensito su queste pagine). E che, allo stato attuale e a distanza di un anno dalla solenne investitura a “Deerhunter italiani”, le cose si potessero mettere ulteriormente bene per loro, non era evenienza del tutto scontata.
La storia della discografia internazionale tutta è disseminata di seconde prove – dopo esordi al fulmicotone – mosce come il PIL del Togo. Registrato nello studio homemade allestito in un circolo ricreativo, le otto tracce che costituiscono “Beware Of Long Delayed Youth”, per fortuna, sanno ancora di quella mistura con la quale i tre frusinati ci avevano deliziato sin dagli esordi: bassa fedeltà da cameretta stemperata in un filo di emo-shoegaze (definizione della quale mi assumo ogni responsabilità in sede penale). Roba suonata col cuore insomma che, inevitabilmente però, parte dalla testa ed arriva alle (nostre) orecchie. Alla fine dei conti, è tutto un giocare a flipper usando come funghetti segnapunti organi deputati a smuovere roba dentro e grazie ai quali possiamo testimoniare la bellezza cristallina di questo lavoro.
A cominciare dal drumming tribale doppiato dalla chitarra eterea di Wellworn Banana in “Hollow Skin”, come a fare il verso ai Drugstore di Isabel Monteiro; continuando per “Coherence Riot”, singolo che preannuncia l’uscita del full lenght e che annoveriamo, senza indugio alcuno, tra le migliori cose ascoltate quest’anno. “Sonic Tiger” è un esperimento di eugenetica traslato in musica, dove i Sonic Youth di “Goo” vengono forzati a copulare con i The Pains Of Being Pure At Heart. Con “Woodland Croon” e “Interlude, We Walk” rallenta il ritmo ma non la già eccelsa qualità delle composizioni. Chiudono la faccenda “Blessed Child”, “Patched Up” e “Beware Of Long Delayed Youth”, un trittico piazzato con noncuranza a fondo corsa quando, nella metà delle band che gravitano nel sottobosco indipendente, costituirebbe l’apogeo di tutta la discografia. Un disco che scuote e pervade con scariche di benefica elettricità trasfigurante. Cos’ho detto? Non lo so, ma vedrete che accadrà.
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