Cinque canzoni epiche e letterarie per sognare una fuga in America.
"Badlands", "Natural Born Killers", "Easy Rider", "Thelma e Louise", "Kalifornia", "Cuore selvaggio", "Into the wild"... solo i primi titoli che mi sono venuti senza starci a pensare, richiamati alla mente da una parola: “fuga”. Il topos supremo di ogni forma di narrazione americana, dal cinema alla letteratura (anche qui, senza pensarci tanto: la beat generation, Don De Lillo, Chuck Palahniuk, Cormac McCarthy, Dave Eggers...) alla musica. I personaggi dei libri, delle canzoni, dei film davvero profondamente americani sono nati per correre, per spostarsi a bordo di qualsiasi mezzo da una landa all'altra di questo paese enorme e ancora per molti versi selvaggio e di frontiera, il paese delle case mobili e dei motel.
È a questo immaginario che si ispirano i Barbados, a partire dal bellissimo artwork di gusto hopperiano (Edward o Dennis, vi lascio la scelta), passando per il titolo, preso da una raccolta di racconti di Alice Munro insieme al concept: storie di fuga, da qualcuno, da qualcosa, da se stessi... canzoni ispirate a Malick (“Down the River”) e a Dos Passos (“Can't tell”) insieme a storie vere (“Chunky Smile”) e riflessioni personali (“Sorry Again”), viaggiano su strade tracciate da chitarre vibranti e sognanti, da riverberi e melodie limpide, da suggestive carezze folk e arrabbiate botte elettriche, le strade battute da tutti quegli artisti che fanno della fuga una filosofia, e una ragione per raccontare mille storie.
Che sono le nostre storie, perché, come recita l'haiku-manifesto del disco, “People are all runaway stories/They run away from you/They run away from themselves”.
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La recensione Runaway Stories di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-07-03 09:00:00
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