"Io parlo" è un'esigenza. Come respirare, bere e mangiare, anche parlare è vitale perché poco si trasmette attraverso le sole figure, i soli gesti o suoni, le parole hanno enorme peso specifico. Domenico Bucarelli ha deciso di fare del parlare un intero album, ha scritto 11 canzoni dentro le quali si racconta, si denuncia, si gioca e si sogna. Tutto parlando, cantando cioè in maniera discorsiva senza badare ai vizi di forma e a metriche particolarmente serrate. In questo suo primo disco il cantautore calabrese pare non aver scritto i brani in forma di canzone, ma ha svolto dei veri e propri temi sugli argomenti che più gli stavano a cuore, poi usando come formina la linea melodica sono usciti i versi perfettamente sagomati e adatti.
È la realtà a ispirare Bucarelli: i protagonisti dei sui pezzi sono i sottomessi dagli usurai, i latitanti, la generazione di fine secolo scorso, i leccaculo, le vittime illuse e quelle martiri, i desiderosi di partire che alla fine restano, chi ha solamente voglia di esprimere quello che ha in testa e si sfoga in una canzone.
A dominare sono le sonorità folk-rock, i buoni arrangiamenti donano calore e colore alle melodie, un buon assemblamento di musicisti fa nascere sotto al manto di vocaboli un humus vivo ed espressivo, giuste le parti strumentali come i soli di chitarra. Due linee di sottolineatura per il brano "L'ideale", possibile delizia e probabile croce nella tracklist, un pezzo stile "Cuore di pietra" di Dente dove i termini omografi rivelano doppi significati che si collegano nelle frasi, il gioco però corre sul filo dello stucchevole e a tratti il link semantico è tirato per i capelli (la canzone di Dente dura poco per un motivo) e finisce per stancare.
Una volta concluso l'ascolto di "Io parlo" rimangono in testa buone sensazioni, si ha la percezione di aver acquisito qualcosa di cui si sentiva il bisogno, dei piccoli pezzetti di sostanza si sono aggregati alla materi grigia passando dalle orecchie ed è piacevole. L'opera prima di Domenico Bucarelli parla da sola, non a vanvera ma con l'obeittivo ben preciso di far pensare.
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