Tutto nasce da un infortunio alla caviglia durante una partita di calcetto... mi sono ritrovato a dover trascorrere un mese a casa con l’impossibilità di uscire”: a parlare è Lorenzo Corti, chitarrista, tra gli altri, di Cristina Donà, al suo esordio solista tutto suonato, arrangiato, cantato e registrato da solo. “L’uso della voce - racconta - doveva essere provvisorio: pensavo di scrivere canzoni da far poi cantare a qualcun altro, invece”.
Invece nel disco del ‘bambino musicale’ (questa la traduzione dal dialetto livornese del titolo), non manca certo coraggio e personalità. “The battle of spiders” funziona bene come introduzione: il cantato è in inglese e ‘filtrato’ con gusto, la musica non è certo facilmente inquadrabile, sotto l’epidermide elettronica lo-fi - ma con stile, senza mai scadere nella diffusa emulazione dei ‘geni-da-cameretta-fuori-concorso’ come Beck - che Lorenzo chiama troppo modestamente ‘imperizia tecnica nell’uso del computer’, fa capolino un bell’impianto pop: belle melodie, belle armonie, godibili trovate elettroniche sia nei pattern che nei riff usati.
“Baby blue” è il singolo ideale dell’album, con una strofa così incisiva da annebbiare un po’ il ritornello; su “Medicine” si cambia paesaggio: in questa come in altre canzoni del disco, l’uso dell’eco, del tremolo e del vibrato ci trasportano di volta in volta nel suono ‘western-morriconiano’, su una tavola da surf o negli anni ‘50 rivisitati della coppia Spector-Lennon.
“You+I” è una specie di “6 Underground” degli Sneaker Pimps (eh, già!), ma più rilassata e dilatata, un ambient casalingo che si svolge con una ricchezza di suoni esagerata. Seguono brani più energici, con la chitarra in bilico tra funky, rock’n’roll delle origini, garage e riff alla Hendrix, oppure psichedelici e seducenti come “My chocolate ship” - e quando vi sembrerà di aver capito tutto, sarà un ritmo a metà tra il drum & bass e la bossanova a scuotervi (“They won’t give up”). Da citare, se non altro per il coraggio di misurarsi con le precedenti energiche versioni, la cover di “Maggie may” di Rod Stewart. Chiude “Dogs”, strumentale, con chitarre in collegamento radio dalla luna.
Un disco di un chitarrista che mi affretterò a prestare al mio tastierista, che si espande ascolto dopo ascolto tra la brezza invernale dell’ultimo piano di casa mia. ‘Elettronica lo-fi’... sì, può essere.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-01-18 00:00:00
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