Quello dei Cochlea è un futuristico esotismo in chiave rock elettronica, tanto colto e panoramico quanto, a tratti, ingenuamente ripetitivo.
Dentro il debutto dei Cochlea ci ritroverete non uno ma ben tredici inverni, ognuno per ogni brano del disco, ciascuno dotato di una propria gradazione di patinata cupezza e resa immaginifica più o meno riuscita. La band toscana, infatti, predispone una curiosa ragnatela sonora dalle marcate atmosfere chiaroscurali i cui filamenti costitutivi sono rappresentati da un pervasivo collante elettronico bristoliano, da psichedeliche volumetrie rock e da certa musica leggera (femminocentrica) all’italiana in preda a fregole sperimentali.
Non siamo poi così lontani da quell’interessante progetto che qualche anno fa legò artisticamente Ivana Gatti e Gianni Maroccolo, da una parte fortemente ancorato alla tradizione italiana dall’altra saturo di sintetiche tossine anglosassoni. Al centro del quadro sonoro la vocalità versatile di Brunilde Galeotti, abile nel destreggiarsi tra impegnative modulazioni etnico-cerimoniali e ben più commerciali registri easy-listening; a supportarla l’armatura rock-elettronica dei suoi tre gregari, convulsa o meditativa a seconda dei bisogni.
Per quanto la sovrabbondanza di brani disperda su più fronti il futuristico esotismo portante del progetto – tanto da generare spesso una ripetizione di schemi melodici – non mancano, per fortuna, alcune suggestioni impattanti: la rarefazione tribale di “Viet”, sulla falsariga dei mai abbastanza celebrati Estasia, le armonie scalene de “Il mondo brucia”, vicina ai Matia Bazar più sperimentali, le chitarre ambientali, velatamente edgiane, che nobilitano “Saturno”, o quelle taglienti che pilotano ”Suturale” verso più notturne derive new wave, l’intimismo evocativo de “L’ospite” e “Il mio demone”, che ricordano rispettivamente i Madreblu e l’ultima Alice, o la panoramica conclusione in odor di C.S.I. di “Danza”.
Un’opera prima, questa dei quattro ragazzi versiliesi, che un po’ risente della mancanza di una provvidenziale produzione artistica in grado di ottimizzare al meglio non solo un non trascurabile bagaglio tecnico ma anche una sacrosanta ambizione di fondo.
---
La recensione Inverni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-09-02 08:00:00
COMMENTI (1)
Band spettacolare, vederli dal vivo è qualcosa di veramente mozzafiato, penso che dovrebbero avere molta più vissibilità